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sabato, Novembre 23, 2024
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Scopelliti: politico lungimirante e visionario o surreale millantatore?

Franco Arcidiaco commenta l’incontro pubblico tra Scopelliti e Gaeta, e riflette sulle vicende, politiche e non, che hanno coinvolto lo stesso Scopelliti negli ultimi anni.

Franco Arcidiaco

Sabato sera a piazza Duomo, il collega Piero Gaeta ad un certo punto ha sentito la necessità di precisare urbi et orbi che lì si stava tenendo la presentazione di un libro e non si stava svolgendo un comizio politico. La precisazione è stata opportuna anche perché il libro è uscito già da tre anni, con gran successo di vendita in tutta la regione, e nessuno si è preoccupato di metterlo in evidenza, né di coinvolgere l’autore dell’intervista Franco Attanasio o tantomeno l’editore Pellegrini.

La piazza era gremita, a dimostrazione della popolarità e della stima di cui ancora gode Giuseppe Scopelliti, e nessuno probabilmente si sarà chiesto il perché di questa iniziativa, salvo forse l’amico Eduardo Lamberti Castronuovo che, seduto in prima fila, si è ritrovato al cospetto, nella qualità di maestro di cerimonia, di un probabile, prestigioso e plausibile competitor alla corsa per futuro sindaco di Reggio Calabria, l’imprenditore Maurizio Mauro.

Mauro ha ricordato, con composta veemenza, l’allucinante disavventura giudiziaria occorsa alla sua famiglia e alla sua storica azienda, ha tratteggiato la storia recente della nostra città ed auspicato la scesa in campo di un personaggio che sia, alla stregua di Scopelliti, un “concreto visionario”.

Il dibattito tra Scopelliti e Gaeta si è svolto con tono moderato ed amichevole e Piero ha dovuto sfoderare tutta la sua sapiente professionalità per evitare di fare uscire il ragionamento dai binari impostati da Scopelliti il cui unico obiettivo dichiarato era “far venir fuori la verità sul Caso Scopelliti”. I temi della serata erano due ma solo uno è stato, secondo me, sviluppato nella giusta direzione. Il primo riguardava il funzionamento della Giustizia nel nostro Paese e bene ha fatto Piero Gaeta a definire paradossale la celerità con cui si sono svolte in questo caso sia le fasi processuali che quelle dell’espiazione della pena; bene ha fatto inoltre Scopelliti a stigmatizzare i ritardi nelle applicazioni delle dovute e legittime misure di semilibertà “ho dovuto subire ben sei rinvii”, sostenendo che “il legislatore non può lasciare campo libero in questa materia ai giudici”.

Secondo me Scopelliti non avrebbe dovuto fare nemmeno un giorno di carcere per i reati che gli sono stati ascritti e sarebbe ora che la tanto auspicata riforma della Giustizia ponesse fine a questo sconcio. Veniamo ora al secondo tema, quello strettamente politico che però non avrebbe dovuto ignorare i due avvenimenti chiave che hanno segnato il decorso della sindacatura Scopelliti: il falso attentato a Palazzo San Giorgio ed il suicidio della dirigente comunale al Bilancio Orsola Fallara.

Lungi da me voler insinuare che Scopelliti sia stato il regista consapevole dell’attentato del 2004 (vedi gli atti del dibattimento “ndrangheta stragista”), ma è innegabile che l’episodio fu un vero toccasana per il sindaco che proprio in quel periodo registrava una forte calo di consensi ed era accolto da bordate di fischi dallo stesso popolo che due anni prima l’aveva portato al trionfo elettorale. Il caso Fallara, poi, servì a scoperchiare l’imbarazzante condizione in cui versavano i conti del Comune e, per usare un benevolo eufemismo, la leggerezza con cui l’Ente veniva amministrato. A Scopelliti, che fieramente rivendica di non “aver mai preso un Euro non mio”, ribatto con le parole di sua figlia riportate da un filmato trasmesso in piazza: “Forse ti sarai fidato delle persone sbagliate”. Alla domanda di Piero Gaeta: «Che rappresenta il Modello Reggio?», Scopelliti ha risposto testualmente: «La definizione è di Gianfranco Fini ed incarnava un’idea di sviluppo, un modello di buona amministrazione che aveva capito qual era la strada giusta che la città doveva imboccare: riconoscere la posizione baricentrica nel Mediterraneo, avviare lo sviluppo turistico, alimentare la sete di successo abbandonando lo stereotipo mafioso che l’aveva contrassegnata fin lì. Era il modello di una classe dirigente che si poneva grandi obiettivi. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco, i servi del sistema dominante l’hanno demolito; quella stagione è irripetibile, non ci sono più uomini politici di quella levatura, né classe dirigente e imprenditoriale all’altezza» (sic).

Chiuso il libro dei sogni, Scopelliti si è impantanato in una serie di ricostruzioni degli eventi dell’ultimo decennio che solo a voler essere benevoli si possono definire surreali e non possono che suscitare sarcasmo in chi, come il sottoscritto, si è ritrovato a frequentare Palazzo San Giorgio durante la prima sindacatura di Giuseppe Falcomatà. Beninteso io non alcuna difficoltà a riconoscere il grande valore di alcune iniziative messe in campo da Scopelliti, a partire dal virtuoso utilizzo di Villa Zerbi (2004-2005) con le due fantastiche edizioni di “Sensi Contemporanei” a braccetto con la Biennale di Venezia e le numerose e prestigiose mostre susseguitesi fino alla bellissima “Segni della città che c’era” che nel 2011 ha segnato la chiusura purtroppo definitiva della prestigiosa sede (di proprietà privata). Parimenti prestigioso è stato il concorso di idee che ha portato al progetto del Waterfront della grande archistar Zaha Hadid, così come il mega convegno “Reggio Calabria crocevia del Mediterraneo” che, nel 2009, ha visto convergere a Reggio tutti i sindaci dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Riconosciuto questo, non possiamo certo mettere sullo stesso piano altri eventi effimeri per non dire tamarri che vanno dalla “Passeggiata di Valeria Marini”, alle lunghe serate estive di RTL, alle innumerevoli sagre di compari e comparelli che hanno fatto da idrovora per le casse comunali. Sabato sera Scopelliti ha indicato come segnale di degrado l’abitudine di molti giovani di giocare a morra e ballare la tarantella nelle piazze della città a qualunque ora, gli vorrei ricordare sommessamente che questa abitudine risale al periodo delle tanto decantate notti bianche, ancora rimpiante dai suoi ammiratori e sodali. Ha rivendicato, poi, le innumerevoli iniziative che il Modello Reggio ha riservato ai giovani con i progetti “simil Erasmus” che li portavano in viaggio di studio a Barcellona, Madrid e Malta, dimenticando però di dipanare le ombre che si addensarono sui frequenti viaggi a Malta di personaggi del suo entourage e sui motivi per cui la compagnia Air Malta ha lasciato lo scalo di Reggio rivendicando un credito di 2,5 milioni di euro mai pagati dal Comune.

A seguito di un assist di Gaeta, Scopelliti è arrivato poi ad imputare al povero Giuseppe Falcomatà la responsabilità della migrazione di ben 12mila abitanti della nostra città e a negare l’esistenza di un buco di bilancio “Il buco di bilancio non esiste, i soldi ci sono, non ci sono progetti!”, “Arena ed io eravamo pronti a risanare il bilancio mettendo in vendita la case popolari”(sic); questa è veramente bizzarra perchè non bisogna essere dei grandi economisti per sapere che i ricavi della vendita di patrimonio pubblico sono vincolati a determinati capitoli di spesa e non possono certo essere destinati a risanare un buco di bilancio.

Ora, fermo restando che io ho sempre ritenuta eccessiva ed ingiusta la misura dello scioglimento della Giunta Arena per mafia (tant’è vero che nulla è mai scaturito dalle indagini) ed inutili e dannose le gestioni commissariali, è bene che Scopelliti ricordi che fu proprio quella Commissione a mettere nero su bianco per la prima volta il famoso buco di bilancio che stava sprofondando la città. La triade commissariale dichiarò la condizione di predissesto che consentì per la prima volta di spalmare il disavanzo in dieci anni. Con l’elezione trionfale di Giuseppe Falcomatà sembrò arrivare la speranza di un cambiamento e la svolta che avrebbe dovuto portare ad una nuova stagione e all’emergere della verità. Purtroppo, Falcomatà, nonostante le pressanti sollecitazioni delle persone a lui più vicine, sottoscritto compreso, non intese dichiarare il dissesto che avrebbe consentito a lui di ripartire da zero senza fardelli sulle spalle e a chi di competenza di risalire alle cause ed ai responsabili dello sfascio. Furono avviate ancora una volta procedure che consentirono di rinviare e spalmare nel tempo, cioè sul groppone delle nuove generazioni, i debiti generati dal “Modello Reggio”. Chi ne beneficiarono furono alfine le imprese che si ritrovarono le fatture dei lavori pubblici pagate, mentre la cittadinanza dovette fare i conti con tributi alle stelle, servizi carenti o assenti e nebulose manovre finanziarie. Con un po’ di onestà intellettuale Scopelliti dovrebbe ammettere oggi che tutto sommato Giuseppe Falcomatà gli ha reso un gran favore non dichiarando il dissesto. La Storia dirà se Falcomatà abbia sbagliato o meno, ma sicuramente non gli sono mancati il coraggio, l’onestà e la buona fede.

Tornando al raduno di Piazza Duomo, il mood della serata è stato ampiamente mantenuto anche a rischio di ricorrere a menzogne marchiane quale quella di rivendicare il merito del progetto del Waterfront, omettendo di dire che lo stesso andrà in porto solo a grazie a Giuseppe Falcomatà che ha pagato (con il primo debito fuori bilancio della sua sindacatura) la milionaria parcella di Zaha Hadid che Scopelliti e soci avevano dimenticato di saldare; così come clamorosa è l’accusa rivolta all’attuale sindaco di non essere riuscito a sbloccare i cantieri del Decreto Reggio ben sapendo che ogni qualvolta si riusciva ad intercettare una tranche, la relativa cifra veniva subito sottoposta a sequestro dalle numerose aziende in stato di contenzioso col Comune. Non intendo comunque qui ergermi a difensore di Falcomatà junior, non è questo il mio intento ma non posso nemmeno permettere che si sbandieri per “operazione verità” una ricostruzione faziosa e di parte di un periodo buio della storia della nostra città.

La serata è comunque servita a chiarire le intenzioni di Scopelliti che, dietro specifica domanda di Gaeta, ha detto testualmente: “Non torno perchè mi sono già immolato. Dobbiamo però tornare a parlare di politica… lo farò ma non in prima persona… io se interpellato dirò la mia e darò un contributo… la città ha bisogno di pacificazione e si può fare arrivando e ricercando la verità… Sono qui non per tornare in politica ma per rendere un servizio alla mia gente.”

Applausi scroscianti e tutti al bar a sorbire un buon caffè… Mauro naturalmente.

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