Lettera aperta di Ferdinando Cuiuli, ex poliziotto di Rosarno, che ci parla di una sua disavventura figlia del modo “assurdo” di ragionare della Magistratura Italiana
Sono Ferdinando Cuiuli, di Rosarno. Ho lavorato come poliziotto per 29 anni, ed ero orgoglioso del mio lavoro. La notte del 20 aprile 2021, alle 3:00 di mattina, la mia abitazione è stata perquisita da miei (ex) colleghi, ed ho appreso di essere indagato in un’operazione di polizia contro le famiglie di ‘ndrangheta di Rosarno. Nel maggio del 2023, l’indagine nei miei confronti si è chiusa con l’archiviazione di tutte le accuse; dal 2022 non lavoro più in Polizia.
Scrivo queste righe per parlare di uno dei fatti di cui sono stato accusato.
Nel 2015 mia figlia era compagna di classe di Scuola Media della figlia di un latitante dell’epoca poi arrestato. Naturalmente, come con gli altri compagni di classe, capitava che le ragazzine uscissero insieme e che io o mia moglie qualche volta dessimo loro un passaggio.
Ecco come in un’ordinanza notificatami è riportato il fatto che mia figlia frequentava quella compagna di classe: “Tra le varie frequentazioni, destava particolare attenzione quella tra **** (figlia del latitante) e l’amica e compagna di classe ****, figlia di CUIULI Ferdinando, in servizio al Commissariato P.S. di Gioia Tauro. In realtà, ciò che insospettiva gli investigatori era la circostanza che **** (il latitante) acconsentisse a far accompagnare i suoi figli al mare o nei locali pubblici, da un rappresentante delle Forze dell’ordine che avrebbe potuto, astrattamente, sfruttare tale vicinanza per carpire informazioni sul suo conto. Essendo tale situazione alquanto improbabile, appariva più fondata l’ipotesi che il suddetto poliziotto potesse essere un accompagnatore “gradito” al latitante”.
Quindi, per alcuni dei miei ex colleghi e per la Procura, io avrei dovuto impedire a mia figlia di frequentare quella compagna di classe; non avendolo fatto, sono diventato una persona sospetta. Questo modo di ragionare è aberrante se ci si confronta con una realtà sociale dove almeno il 90 per cento delle famiglie ha in casa un pregiudicato di piccola, media o grande entità. Questo modo di ragionare si basa sull’idea che a Rosarno i nemici delle persone per bene siano tutti coloro i quali hanno un rapporto di parentela con persone legate (o sospettate di essere legate) alla ‘ndrangheta. Ma Peppino Impastato, ucciso dalla mafia nel 1978, era figlio del mafioso Luigi Impastato; e Marco Alberto Donat-Cattin, terrorista appartenente al gruppo eversivo Prima Linea, era figlio di Carlo Donat-Cattin, democristiano, deputato, senatore, più volte ministro della Repubblica. So quanto contano i legami familiari nella ‘ndrangheta, e tuttavia non accetterò mai l’idea che una ragazzina, solo perché figlia di un latitante o di un pregiudicato, debba essere isolata dalle compagne di classe e dalla cd società civile. Come potranno mai crescere nell’animo e cosa potranno mai imparare quando è quella stessa società cosiddetta “civile” e quelle “istituzioni” a ghettizzarle e metterle da parte escludendole a priori a volte solo per l’appartenenza familiare o per il cognome che portano e che loro (come chiunque di noi) non hanno scelto? Soprattutto quando impareremo a decontestualizzare situazioni come queste che sembrerebbero apparentemente di facile interpretazione? A Rosarno non esistono scuole divise per classi sociali e i quartieri non sono altrettanto divisi da sbarramenti di filo spinato o linee di demarcazione con pass da esibire. Inoltre, non credo sia questo lo scopo per cui a Rosarno, in passato, sono state indette manifestazioni pubbliche di “inclusione” dei figli di ‘Ndrangheta corredate da temi emozionanti e testimonianze dirette. Devo forse pensare che il tutto venga posto in essere solo a mero scopo pubblicitario da “targa ricordo” e per visibilità giornalistiche di facciata? Tanti, purtroppo, sono stati gli innocenti caduti nelle maglie della giustizia e che oggi formano un numero rilevante di persone che nel loro intimo non credono più in nessun valore fondante della società e Rosarno non è da meno. Mi sia infine consentito dare un’imbeccata ai miei ex colleghi, segugi implacabili, che hanno ritenuto che io fossi “gradito” al latitante. Mio figlio, quando frequentava il liceo, ha diviso un panino con il figlio di un extracomunitario senza permesso di soggiorno: non sarebbe il caso di indagarmi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina?
P.S. la ‘Ndrangheta è una merda!