Lo Presti ricorda Giorgio Napolitano e fa un excursus della sua vita politica e ideologia dal Dopoguerra ad oggi.
Matteo Lo Presti
Nella vicenda della quotidianità non c’è persona che non riconosca al compianto presidente Giorgio Napolitano acutezza politica, equilibrio operativo, rispetto delle regole democratiche e generose qualità umane.
Eppure, nel corso della sua lunga vita e della sua intensa attività politica, negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, anche il presidente Napolitano ha percorso labirinti ideologici di cui la storia è obbligata a chiedergli conto. Paolo Mieli, già direttore del Corriere della Sera, ha ricordato come il 24 febbraio del 1974 ebbe a scrivere sull’Unità una terribile invettiva contro il premio Nobel della letteratura il russo Alessandro Solgenyzhin, criticando i veritieri giudizi politici che il dissidente comunista aveva tratto dalla sua esperienza nell’Arcipelago Gulag (titolo del suo più noto volume). Napolitano con il pretesto di criticare le modalità di sfruttamento del proletariato nel mondo occidentale, definiva “aberranti” le critiche formulate contro la dirigenza sovietica” e che gli costarono l’esilio in Germania e poi negli Usa. “L’immensa portata liberatrice della rivoluzione di ottobre ha creato un bilancio di successi e di trasformazioni del regime socialista”. Napolitano argomentava “Si nega l’originalità della prospettiva che sta davanti al movimento operaio”.
Ma già nel 1956 quando l’Ungheria fu invasa dai carri armati russi Napolitano si accodò alla infelice propaganda dei comunisti italiani che Togliatti in testa e Pietro Ingrao foriero di improvvide valutazioni, dissero “Stiamo da una parte sola della barricata (quella sovietica)” nel timore che nei tormenti della guerra fredda l’URSS perdesse parte del suo potere in Europa. Napolitano attaccò pesantemente il compagno Antonio Giolitti che si schierava per “l’accettazione incondizionata delle libertà democratiche”. Napolitano replicava “Giolitti dovrà rassegnarsi a ricevere decise, aspre risposte polemiche. L’intervento russo in Ungheria ha impedito che quel paese cadesse nel caos e nella controrivoluzione ed ha contribuito in maniera decisiva non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’URSS, ma a salvare la pace nel mondo”. Trent’anni dopo Norberto Bobbio nel ripercorrere, con la consueta lucidità, scrisse sulla Stampa di Torino.” Oggi è in questione una concezione del partito, della politica, addirittura della storia che allora il PCI aveva e ora non ha più. Era una visione menzognera quella concezione dei valori di impegno sociale con la quale bisogna discutere e ridiscutere non soltanto i mezzi ma anche i fini che non sono dati una volta per sempre e la cui attuazione non è mai né certa né definitiva”.
La strategia politica di Napolitano mutò con la segreteria di Berlinguer che giudicava l’URSS come un “paese con alcuni tratti illiberali”. Si poneva l’esigenza di un radicale modifica del rapporto tra il PCI ed i sovietici. Macaluso, Bufalini e Napolitano critici contro la “attenuata lucidità politica di Enrico (scrive Macaluso) che raffreddò i rapporti con tutti i miglioristi Nilde Jotti compresa”. Morto Berlinguer l’unico dirigente che avesse la cultura e le stimmate di un dirigente assimilabile ai socialisti europei e che poteva indirizzare il proprio travaglio politico culturale verso l’approdo nella famiglia socialdemocratica europea, era Napolitano (ricorda Macaluso) . Improvvidamente gli fu preferito Natta. Le nuove generazioni dei militanti PCI erano ormai fuori da quella storia. E Napolitano si era creato una concreta fama come interlocutore di Brandt, Mitterand, Olaf Palme. Il solo ad avere frequentazioni credibilità nella sinistra riformista europea.
Ineccepibile il suo impegno come Capo dello Stato e ancora la sua dichiarazione per onorare in un prezioso libro “Altiero Spinelli e l’Europa”. C’è chi nega il peso di limiti storici che il PCI non è riuscito a superare pienamente -scrive Napolitano- che ne hanno limitato la capacità di attrazione ed inficiato la candidatura a forza di governo,e oltre i quali è diventato urgente muovere con decisione sulla strada dell’ Europa Unita” Il progetto di Emanuele Kant e la sua riflessione “sulla pace perpetua” dovuta alla federazione degli stati Europei in un rapporti di equilibrio paritario e il manifesto di Ventotene firmato da Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni diventarono anche per il compagno Napolitano “arduo, ma non astratto obiettivo ideale perseguibile attraverso un concreto anche se difficile percorso, e non confondibile con sterili tentativi di rilancio di ideologie e miti del passato” Con queste sostanziose e coraggiose parole vi era da parte del capo dello Stato il suo corretto modo di fare i conti con la storia e la sua biografia.