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lunedì, Novembre 25, 2024
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La Sila è una realtà unica

Sila, Tropea, Gerace sono luoghi che hanno valore di per sé, senza necessità di essere paragonati o assimilati a monti, coste, città lontani. Con una storia differente. Affermazioni retoriche e come tali vuote, ispirate a un ben noto vittimismo, che comincia a battere in ritirata, ma non è ancora sconfitto. E all’altrettanto ben nota tendenza a rimettersi nelle mani di terzi, nell’attesa di aiuti salvifici.

Piergiorgio Iannaccaro 

Se la Sila fosse in Trentino…e, perché no, se Tropea fosse nelle Cinque Terre, se Gerace fosse in Umbria, se il centro della mia città fosse nelle Marche. Ma non è così, questi luoghi per fortuna sono in Calabria. E hanno valore di per sé, senza necessità di essere paragonati o assimilati a monti, coste, città lontane. Con una storia differente. Affermazioni retoriche e come tali vuote, ispirate a un ben noto vittimismo, che comincia a battere in ritirata ma non è ancora sconfitto. E all’altrettanto ben nota tendenza a rimettersi nelle mani di terzi, nell’attesa di aiuti salvifici. Atteggiamenti passivi, propri di chi si vede perdente, distratto rispetto a risorse che invece consentono di essere alla pari o di primeggiare, incapace di cogliere traiettorie differenti per chi vuole vivere, produrre, accogliere sulla montagna silana. Sembra quasi di cogliere uno svantaggio geografico da risolvere con fantasie, anche esse geografiche. La Sila è un vasto altipiano, che si sviluppa ad un’altitudine media ragguardevole, con elevazioni che sfiorano i duemila metri sul livello del mare, coperto da estese foreste di faggio, pino laricio, abete bianco, con caratteristiche geologiche e morfologiche peculiari, con paesaggi che danno serenità alla vista e all’animo, su cui si spandono luci mediterranee, emozionanti soprattutto in autunno e in inverno. Dal 2002 una discreta parte del territorio dell’altipiano è tutelata da un Parco Nazionale. Dal 2014 fa parte del programma MAB (Man and Biosphere) dell’Unesco e buona parte del suo territorio ricade pertanto nel network delle Riserve della Biosfera. Sono poco più di settecento in tutto il mondo, venti in Italia, e sono laboratori di sviluppo sostenibile e di interazione virtuosa tra sistema sociale ed ecosistemi. Un biglietto da visita di tutto rispetto. La giusta premessa per elaborare modelli di sviluppo originali, propri, che tengano conto di uomini e donne, tanti giovani, impegnati nell’agricoltura, nella pastorizia e nell’attività casearia, nell’ospitalità e nella ristorazione, nel supporto a visitatori, frequentatori, camminatori, curiosi della bellezza. Perché la Sila non è in Trentino e non ha bisogno di modelli esterofili. Non deve diventare un luogo puro e intoccabile, ma neppure appendice di parchi commerciali cittadini. Può evitare modelli di sviluppo alla lunga deleteri, quelli in parte responsabili dell’assalto alle Alpi che da il titolo a un saggio di Marco Albino Ferrari. E affiancarsi, questo si, a realtà lontane che hanno scelto un profilo discreto ma remunerativo. Ho frequentato lungamente, intensamente le Alpi, con particolare dedizione alle Dolomiti. Qualche anno fa decisi di lasciare per una giornata la sontuosa Val Gardena e di visitare la Val di Funes. La percorsi tutta fin dove la splendida muraglia delle Odle si erge a chiuderla. Vidi molti campi coltivati, un solo impianto di risalita, mangiai in una trattoria non affollata e la proprietaria mi rimproverò bonariamente per avere messo da parte nel piatto il grasso dello Speck (“non lo ha mangiato?”), assistetti ad un’indimenticabile sfilata di mezzi, i più disparati, dei Vigili del Fuoco volontari. Mi trovavo, parafrasando Mario Rigoni Stern, in un luogo buono per quelli che amano la montagna per sé stessa, non per quelli che cercano luna park. Alla sera tornai tra le mille luci di Ortisei ristorato nello spirito e sollevato dalle fatiche delle escursioni dei giorni precedenti. La Sila non è in Trentino. È orgogliosamente in Calabria. Non mancano dissonanze e inadeguatezze, ma dispone di tante realtà produttive che devono fare sistema. Integrando risorse naturali, saperi e tradizioni, prodotti dell’agricoltura, della pastorizia, dell’artigianato, arte, cultura, in estrema sintesi investendo nel suo Capitale Naturale. Integrando la grande infrastruttura, a bassissimo impatto ambientale, rappresentata dai sentieri, con ospitalità e ristorazione di qualità. Integrando le ambizioni sociali ed economiche di chi vi opera con il rispetto per l’ambiente e la biodiversità. Ovvero la componente essenziale del suo valore, della sua unicità. Che è ricca e non deve continuamente alimentarsi dell’indubbio richiamo del suo paesaggio ai luoghi del grande Nord del mondo. James Maurice Scott è stato un celebre esploratore e scrittore scozzese. Negli anni Sessanta del Novecento ha percorso in più occasioni la catena degli Appennini e ha camminato lungo l’altipiano della Sila. Durante la sua seconda visita non rimase del tutto soddisfatto e scrisse “…La Sila è la zona meno italiana d’Italia…Ci si trova a paragonarla costantemente con il

NewForest, il Lake District, la Scozia, la Norvegia, la Svezia…Penso che il motivo della mia delusione stia tutto qui: la Sila non è intrinsecamente italiana, e se imita altre terre tende a farlo meno bene…”. Appunto, la Sila nel suo essere molti luoghi è una realtà unica. La Sila non è in Trentino.

 

 

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