A Palermo è stato recluso un uomo di ottantasei anni, in sedia a rotelle. Penso che lo Stato non possa permettersi cadute simili e credo sia necessario riflettere, una volta per tutte, sulle condizioni delle persone nelle carceri, se vogliamo veramente che dopo la pena questa gente non sbagli più.
Mario Alberti
Mi cattura l’attenzione, all’alba, un articolo di un grande quotidiano, scritto dal corrispondente di Palermo. All’Ucciardone, carcere del capoluogo siculo, viene recluso un uomo di ottantasei anni, in sedia a rotelle; non è dato a sapere il motivo della condanna, ma si sa che l’uomo è incensurato, non è mai stato in carcere e le condizioni in cui versa son ben note. L’uomo viene praticamente assistito dai suoi compagni di cella che l’aiutano a lavarsi e ne spingono la carrozzina, la notizia viene fuori perché cattura l’attenzione del Garante dei detenuti, che incontra l’uomo e i suoi assistenti nonché compagni di cella ed emette una nota auspicando si possano ottenere a brevissimo, visto le condizioni, gli arresti domiciliari. Mi torna in mente la discussione sul fine vita di criminali di ben altro spessore, nemmeno lontanamente paragonabile; ricordo molti pensieri espressi nei canali pubblici e sociali, tendenti alla ferocia, diciamo tesi alla vendetta, confondendo quest’ultima con la giustizia.
Ma andiamo oltre, penso che lo Stato non possa permettersi cadute simili e mi voglio augurare che, mentre esce questo pezzo, il detenuto in carrozzina sia stato quantomeno spostato agli arresti domiciliari e abbia adeguata assistenza, perché, paradossalmente, ma non troppo, l’umanità alberga ovunque, per fortuna, in carcere ha trovato altri detenuti solidali e disposti ad assisterlo. Come dovrebbe idealmente finire questa storia? Così, ma c’è una storia più grande, fatta da piccole storie e da silenzi ed è quella delle carceri italiane luogo in antitesi al dettame costituzionale di rieducazione; carceri luogo di sofferenza, di prevaricazione, di annullamento della dignità, di abbrutimento e rafforzamento dello spessore criminale di molti detenuti, in quanto lo Stato si rivela distante dall’umanità possibile, mentre invece deve essere portatore dell’umanità scontata, dare segnali di un diverso modo di vivere, in un quadro di regole e rispetto della persona e quindi consentire la riflessione in chi sbaglia. Il detenuto e la sua famiglia devono avere fiducia nello Stato, noi che ogni tanto pubblicamente scriviamo, siamo a volte cantori di un mondo ideale, sospeso tra la cruda e irregolare realtà e l’indispensabile e scontata aspirazione; si rifletta una volta per tutte sulle condizioni delle persone nelle carceri, se vogliamo veramente che dopo la pena questa gente non sbagli più. Se lo vogliamo veramente, però.