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Clima di malcontento nella sanità italiana: il divario tra Nord e Sud

Il disagio professionale all’interno del panorama sanitario italiano è un aspetto ormai diffuso nella categoria dei camici bianchi. Quel che si evince dai sondaggi non è un esodo solo verso l’estero, bensì si parla di esodo verso una sempre più privatizzazione o “uberizzazione” dell’attività medica, che rientra in quadro di carattere economico e non solo, dove al diffuso malcontento dei medici si aggiunge un’urgente preoccupazione alle necessità del paziente.

Giorgia Moniaci

Il disagio professionale all’interno del panorama sanitario italiano è un aspetto ormai diffuso nella categoria dei camici bianchi. A testimoniarlo diversi sondaggi a partire da quello condotto nei mesi di gennaio e febbraio ad opera dell’Anaao Assomed, l’associazione sindacale dei medici e dirigenti sanitari italiani che ad oggi conta oltre 20.000 iscritti, fino alla survey pubblicata da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri che dichiara un medico su due in burnout, dall’inglese “bruciarsi, esaurirsi” in riferimento alle risorse psico-fisiche che l’OMS riconosce come “fenomeno occupazionale”.

Quel che si evince è quindi una forte insoddisfazione, rappresentata dal 56,1% del personale sanitario tra medici e dirigenti, oltre la metà quindi; un’insoddisfazione crescente che si correla all’aumentare dell’anzianità di servizio e delle responsabilità. Il primo sondaggio rileva come l’apice viene raggiunto nella fascia di età tra i 45 e i 55 anni, dove le aspettative di un riconoscimento professionale, una maggiore sicurezza sul lavoro e l’incremento delle retribuzioni, tutte aspettative insoddisfatte dal nostro sistema, portano all’allarmante conseguenza che registra un 36% di soggetti disposti a cambiare il proprio lavoro. Altro dato tristemente non sorprendente riguarda il divario tra Nord e Sud, dove quest’ultimo registra il 64,2% di subordinati a questa crescente condizione di insoddisfazione. Per comprendere maggiormente la rilevanza di questi dati possiamo trovare un’analisi più consapevole e vissuta in prima persona, nelle parole del dottore Benedetto Caroleo, medico che ha scelto di restare e lottare contro le tante difficoltà del territorio.

In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica di Roma, il Ministro della salute Orazio Schillaci ha riportato le dimensioni allarmanti dell’esodo di oltre diecimila medici italiani che hanno lasciato il nostro Paese, quali sono secondo lei, se vi sono, le ancore alle quali aggrapparsi e gli obbiettivi da perseguire in un momento così difficile per la sanità?

Non è difficile intuire che la realtà lavorativa e la qualità della vita per i professionisti dell’area sanitaria siano migliori al Nord rispetto che al Sud e soprattutto all’estero piuttosto che in Italia. A tal proposito è fondamentale fare un passo indietro negli ultimi 40 anni di storia della sanità, dove l’intenzione di emigrare si è fatta via via più precoce. Lo studente della Magistrale e ancor più il medico in formazione specialistica comprende in maniera sempre più disillusiva che non potrà esprimere liberamente il suo talento, reso prigioniero dalle asfissianti incombenze di carriera degli universitari concentrati a rincorrere le mediane più che gli ammalati, esattamente come gli viene imposto dalla loro parziale appartenenza al Ministero dell’Università ancorché a quello della Salute; essi, loro malgrado, dedicano un residuo temporale alla formazione assistenziale, all’incentivazione dei talenti, avendo obiettive incolpevoli difficoltà a rappresentare ciò che illogicamente gli viene richiesto: didattica, ricerca ed assistenza. Come rendere dunque, l’ambiente formativo più aderente alle esigenze del giovane? Banalmente alleggerendo le incombenze assistenziali dei Docenti conferendo loro la Cattedra, la Direzione della Scuola, la gestione della Ricerca, ma lasciando la Direzione dell’assistenza agli Ospedalieri che contribuirebbero, istituzionalmente e non volontariamente coinvolti come accade oggi, alla formazione dei giovani. Modifica che incontrerebbe tante difficoltà di realizzazione ma costituirebbe il punto di partenza non più derogabile di una sostanziale riforma. Un secondo livello su cui intervenire per evitare l’abbandono del nostro Paese si dirama su diversi punti, quali: il disagio ambientale, la solitudine lavorativa, l’esposizione al rischio di subire danni dell’incolumità personale, le esposizioni a tendenziose pretese risarcitorie, sul trattamento economico assolutamente inadeguato, non ultimo, sull’eccesso di burocrazia che è impedimento anche solo alla partecipazione ad un evento di aggiornamento, pur essendo quest’ultimo ritenuto obbligatorio dal nostro ordinamento, secondo obiettivo da raggiungere: migliorare la qualità della vita. Inoltre, non si può tacere circa la scandalosa carenza nella gestione del merito. É esperienza comune la discutibile gestione dei concorsi per l’inserimento nel mondo lavorativo per i dirigenti medici; ciò avviene con rassegnazione dopo aver vissuto la lotteria dei quiz per l’ingresso a Medicina e nelle Scuole di Specializzazione. Un tempo la Scuola era selettiva e concludeva gli studi chi aveva passione e talento; oggi superare il “quitzone” è diventato l’ostacolo più complicato. Vien da sé che vi è un terzo faro da ricominciare a guardare ovvero l’obiettivo della meritocrazia.

Quel che si evince dal sondaggio non è un esodo solo verso l’estero, bensì si parla di esodo verso una sempre più privatizzazione o “uberizzazione” dell’attività medica, che rientra in quadro di carattere economico e non solo, dove al diffuso malcontento dei medici si aggiunge un’urgente preoccupazione alle necessità del paziente. Quali potrebbero essere, da un punto di vista interno, le soluzioni di riprogrammazione per scongiurare il Paese da una medicina sempre più a pagamento?

Il Sistema Sanitario Italiano era il migliore del Mondo, un esempio di civiltà, un baluardo per la difesa della salute di chiunque calpestasse il suolo della nostra Nazione, il tutto elargito con gratuità. Oggi stiamo assistendo al suo crollo, laddove il Sistema Pubblico fallisce, il Privato recupera posizioni, non contribuendo però alla risoluzione dei problemi della medicina d’urgenza, quella che espone maggiormente allo stress del professionista e alle pretese risarcitorie dell’utente; un Sistema Privato scaltro ad offrire ciò che il Pubblico non sa offrire. Il Privato acquista strumenti di ultima generazione, concorrenziali con quelli vetusti del Servizio Sanitario Pubblico, fenomeno esasperato proprio nelle Regioni del Sud, in cui l’alternativa al Privato diventa il Nord. Vien da sé che il Privato monetizza meglio i professionisti che sempre più numerosi lasciano l’inizialmente agognato Pubblico per arricchire se stessi ed il Privato; molti di questi sono Dirigenti Medici Pubblici in quiescenza di pensione che si rivolgono al privato per “arrotondare” un assegno di pensione il più delle volte tutt’altro che decoroso. Inoltre, non si può tacere il fenomeno in crescita del Privato nel Pubblico; la parola magica: ‘intramoenia’. Necessiti di una visita o di un esame strumentale o ancora di un intervento? tempi di attesa nel pubblico: incompatibili con la vita, tempi di attesa nel privato inserito nel pubblico, da recordman; ed oggi con la legalizzazione della telemedicina, dove il professionista, previo bonifico, valuta l’utente senza esporlo al disagio del viaggio, perché nella medicina moderna, il contatto “de visu” e l’esame fisico del paziente non sono più ritenuti necessari. Tutto assolutamente legale, ci mancherebbe; ma la moralità? La discussione è aperta, ma personalmente vedo sempre più solido un gran conflitto di interessi con una Costituzione Italiana che chiede ragione di ciò. Quali i correttivi da applicare? Basterebbe centralizzare per davvero il Centro Unico di Prenotazione, incrementando ed ottimizzando così l’offerta pubblica e applicare un modello matematico per l’erogazione di prestazioni con attese irragionevoli. Quali quindi, gli obiettivi di un Sistema Sanitario Pubblico? Integrare il personale in maniera proporzionata alle richieste dell’utenza in quel preciso momento storico; incentivare il professionista a formarsi per le prestazioni non in grado di essere erogate in quel settore; impiegare lo strumento dello straordinario e quello delle prestazioni aggiuntive che non aggraverebbero l’esborso erariale posto che aumenterebbero le prestazioni e quindi l’incasso aziendale. Questo terrebbe comunque conto, con meccanismo selettivo, della capacità attrattiva del singolo professionista che guadagnerà di più se di più lavorerà nel pubblico. Tali riflessioni sono ovviamente molto lontane dal ritenere il professionista un cacciatore di incassi; il quale è in verità vittima di un sistema che non lo ha mai soddisfatto in maniera decorosa e dignitosa dopo gli enormi sacrifici di studio e di lavoro cui si è dovuto sottoporre. Il risultato, non secondario, di tutto questo, sarebbe quello di restituire agli italiani la sanità gratuita migliore del mondo.

A inizio anno nella regione Calabria sono entrati in servizio 50 medici cubani ed ora il presidente della regione Occhiuto introduce la possibilità di allargamento anche a medici di nazionalità albanese. Come si traducono queste scelte per la sanità calabrese e quali prospettive augurarsi, soprattutto per i giovani studenti di medicina calabresi?

Il Presidente della Regione ha trovato un Sistema Sanitario Pubblico smembrato dalla gestione degli ultimi 13 anni, non solo tangibilmente peggiorato, ma con un incremento del debito originario. Di fronte allo sfacelo, si tenta di ricucire senza badare molto all’estetica, come in questa situazione di gran confusione e di emergenza dove il Presidente, per la carenza degli organici ha intravisto la possibilità di tappare la falla con medici inclini alla migrazione verso il nostro Paese e ha stipulato una convenzione; certo ci fosse stato più tempo magari avrebbe incentivato professionalmente ed economicamente i medici calabresi facendoli rientrare, oppure avrebbe discusso a fondo con l’Università per impiegare in maniera anche più costruttiva per loro, i medici in formazione specialistica, oppure ancora avrebbe proposto al governo, molto più banalmente, di applicare le regole vetuste di 35 anni fa in cui ai concorsi si partecipava con la laurea in medicina senza obbligo di specializzazione; e addirittura con lungimiranza avrebbe potuto discutere con il Governo su un libero ingresso in Medicina ed una selezione successiva come avveniva un tempo, tentando di non far pesare i fuori corso sulle casse dell’Università. Io sono certo che, se avesse avuto più tempo per agire, per così dire in elezione e non in urgenza, il Governatore avrebbe più opportunamente pensato tutte queste alternative. La convivenza di più etnie è sempre un elemento di crescita culturale se inserito in un contesto che non crei malumori nella categoria. Il mio augurio è che non fuggano dalla Calabria anche i volenterosi Medici Cubani. Altro augurio è per i numerosissimi giovani colleghi con laurea abilitante; che possano presto esprimersi in tutti gli ospedali, partecipando attivamente all’assistenza, con assegni integrativi alle borse di Specializzazione; sono certo che la loro formazione ne otterrebbe gran beneficio. Ancora, desidererei che il Governatore che guardando oltre i confini ha dimostrato di avere una vista acuta, si accorgesse di quanto ci sia da cambiare in termini di strumentario, di quanto sia necessario alleggerire i colleghi anziani dei carichi di lavoro, dell’importanza di consultare i medici che lavorano sul territorio e che hanno il polso pratico e non teorico della situazione, dell’opportunità di pensare ad incentivi congrui per far rientrare i medici in fuga, per far rientrare con incarichi altamente professionalizzanti i cittadini che al Nord o all’estero hanno fatto tanto bene, per facilitare i percorsi di formazione di medici volenterosi che andrebbero ad imparare nuove tecniche, per incentivare i medici calabresi a lavorare nel pubblico piuttosto che rimpinzare l’ipocrita intramoenia. Tanti, tantissimi sono gli elementi su cui intervenire per migliorare la sanità facendola decollare. Anzi, proprio quando si cade così in basso, come accaduto alla nostra sanità in quest’ultimo trentennio, c’è la possibilità di risollevarsi; i medici cubani, albanesi o di qualsiasi nazionalità possono dare un valido contributo solo in un sistema che funzioni; se infatti il sistema è precario, anche loro saranno medici che lavoreranno in un sistema che non funziona e saranno destinati ad andar via o a rimanere infelici in Italia.

 

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