Lettera aperta di Pietro Sergi, presidente Associazione Culturale “Spiriti Liberi Calabresi” .
Esserci o non esserci? Questo è il dilemma…
Scrivere su Facebook a volte può sembrare un semplice sfogo, a volte lo è, indubbiamente, ma non è il mio caso e per fugare questi dubbi scrivo anche ai giornali.
Mi addolora l’aver dovuto constatare come la quasi totalità delle istituzioni calabresi abbia fatto finta di niente di fronte a questa strage di innocenti. Mi addolora aver dovuto constatare come una scuderia piena di asini che sognano di diventare dei Varenne abbia eseguito gli ordini di scuderia senza battere ciglio, senza dimostrare un minimo di sensibilità, senza aver sentito minimamente il bisogno di metterci la faccia, nel tentativo di salvare un “salvabile” che non esiste. E non esiste non perché lo dica io, ma perché basta guardarci intorno per capire ciò che siamo diventati. Una distanza siderale tra uno spaccato di popolo e alcune istituzioni la quale unica preoccupazione si manifesta nella goffa difesa di piccole carriere in ascesa o in qualche sprazzo di retorica inutile e ammuffita quando c’è da metterci la faccia, anche a costo di essere contestati. Ma nessuno, sabato, si sarebbe mai sognato di contestare qualcuno, perché eravamo chiusi nel nostro dolore, perché per noi, in questi giorni, esiste solo ed esclusivamente il dolore di Pietro, di Francesco, di Giuseppe e di tutti i loro congiunti. Nessuno avrebbe inscenato nulla. Ho visto le forze dell’ordine piangere, il vescovo piangere per tutta la durata dell’omelia. Piangevano i muri delle case, le donne, i bambini, gli uomini. E poi, a qualche chilometro di distanza, le consorterie e le scuderie discutevano e valutavano l’opportunità di esserci o meno. E, guarda caso, l’assenza è stata trasversale, fatte alcune eccezioni che, di fatto, ci fanno notare quale fosse la regola: non esserci! Codardia istituzionale che si è spinta fino alla totale mancanza di alcun cenno ufficiale, perché rappresentare le Istituzione non preclude altre forme di vicinanza più discrete e intime, di solidarietà, di comunanza al dolore dei famigliari e delle vittime di un’arteria che conta vittime in doppia cifra, famiglie devastate, oltre gli innumerevoli incidenti che non si sono tramutati in stragi solo per puro miracolo.
Assurdo, ingiusto, irresponsabile e cinico voler addossare tutta la colpa al “fato”, al “fatalismo”, come assurdo e cinico parlare di “finanziamenti” sempre pronti e mai che arrivino dove servono in tempo utile. Il fatalismo colpisce laddove non te l’aspetteresti mai. Il fatalismo colpisce laddove si è fatto tutto ciò che si poteva e non era bastato. Il fatalismo non accade laddove i morti si contano ormai ad ogni pioggia che cade. Il fatalismo non c’entra nulla, in questo caso. Chi amministra non può addossare la colpa al fato, perché altrimenti il suo stesso ruolo diventa vuoto e non servirebbe a nulla amministrare, ci si potrebbe affidare direttamente al destino. Stavolta c’entra l’incuria, l’abbandono, la miseria di gente che amministra guardando solo ed esclusivamente alla propria carriera, puntando sulla rassegnazione di un popolo che ha anch’esso le sue responsabilità quando nel momento in cui conta, mette in atto le solite dinamiche ataviche di totale assenza di opinione politica e sociale, con la colpa della pigrizia e del doping del “favoricchio” low cost. Il popolo ha le sue responsabilità quando pensa solo all’oggi, dimenticandosi di ciò che è successo ieri e guardando solo ed esclusivamente al suo più stretto e circoscritto domani. Dopodomani è troppo lontano, come troppo faticoso diventa pensare al futuro della propria comunità, oltre l’orizzonte del proprio naso. La speranza si crede sia marce infinita, ma non è così. La speranza è il vero oppio dei popoli, e quando ci si affida solo ad essa è finita. Il fato, la speranza, in questi casi dovrebbero stare fuori dalla porta. Resta la vergogna di un ulteriore soldo scavato tra la nostra comunità e alcune Istituzioni. Un solco arido, cinico, inutile, dannoso. Mi vergogno per questa assenza di sensibilità delle Istituzioni della mia Regione. Sono tornato al nord ma non sono scappato abbandonando la nave. Ci tornerò, prima o poi, e non mi arrendo e non consegno il mio cervello alla sola “speranza”, al “fato” e non mi interessa niente altro se non tentare di smuovere la mia comunità da quella fossa comune dove ci hanno sotterrati coprendoci di rassegnazione, retorica, bugie, inganni. Mettetevi comodi, non mi ridurrete al silenzio passivo.