di Mario Alberti
La discesa in campo di Berlusconi la ricordo come ieri. Ed avvenne in un epoca in cui il mondo politico crollava, con i suoi toni del grigio. Fu seducente, Silvio. Trascinato da tv private che ammaliavano. Infatti l’overture fu un successo. Gli italiani si affidarono convinti che avrebbe fatto cose buone, esattamente come faceva per sé, e per le sue società. La ricerca dell’uomo forte e di successo trovò coagulo nel millenovecentonovantaquattro. I pensionati attendevano l’aumento delle pensioni, i lavoratori la riduzione delle tasse, i giovani l’occupazione. Berlusconi intercettò con un linguaggio nuovo e semplificato, irrituale ed irriverente, il ventre populista dei connazionali. Sdoganando personaggi provenienti dalla destra figlia di un meritato oblio dovuto ad una storia sovente dimenticata. Poi i fatti di cronaca, che tutti sappiamo. La visione del mondo femminile, ridotto a macchina di piacere per gli uomini di successo. Francamente, non saprei come ricordare positivamente Berlusconi, sotto il profilo politico, se non come un eccellente furbo venditore. Si è inserito in uno spazio lasciato vuoto da una litigiosa sinistra sempre alla ricerca di una identità congrua con la propria storia. Ma io che scrivo tutto ciò ammetto con il massimo dell’autocritica di essere pressoché incapace di andare oltre la superficialità dell’analisi. Tanto ricordo, tanto affermo. Per cui, sparate pure. Non mi sottrarrò al plotone d’esecuzione, in un giorno particolare che vede la fine dell’uomo Berlusconi. Ma non la fine del berlusconiano, sia ben chiaro. Scritto ciò, e mi siano perdonate le lacune di analisi politica, trovo profondo disagio rispetto a chi gode di una morte. Penso che qualcuno, a Berlusconi, lo piangerà. Sia essa la compaesana compagna, o i figli, o qualche fedele scudiero. Giuro, non ho fatto la battuta! E mi chiedo di quanta cattiveria è capace l’uomo quando sostituisce la voce con una tastiera. Il social diventa luogo dove tutto pare consentito, anche godere di una morte. No, io sono dispiaciuto per la morte di Silvio, come per quella di Francesco, che non so chi sia, ma sono certo che in Italia un Francesco sarà scomparso un queste ore. E non mi si definisca buonista con tale ignoranza del termine. Si tratta solo di umanità. Prerogativa che ci distingue dagli animali, sovente meno feroci.
Assodata la pietà che non cede al rancore, tanto Faber è abituato ai mei furti, troverei utile concentrarmi da uomo di sinistra sul significato di essere sinistra oggi, senza rinunciare ai grandi temi come il lavoro, i diritti umani e civili, l’equità sociale tra cittadini. Temi che paradossalmente si sono rivelati, appunto a sinistra, pressoché divisivi.
E Berlusconi fu il primo ad inserirsi con il suo capitalismo libertario, mentre noi, dico noi come fossimo una squadra di calcio, giocavamo a cambiare simboli e moderare toni e temi per piacere alla gente.
Riposino in pace Silvio. E anche lo sconosciuto Francesco.
Sic transit gloria mundi, come disse egli stesso del suo amico Gheddafi.
Non c’è uno spazio libero dove inserirsi, ma una sinistra da rifondare su temi forti e senza compromessi e accomodamenti.
Ma è la solita altra storia che irrompe.
Se troverò la capacità, ne parlerò un altro momento.