Giovanni Brusca, noto mafioso poi pentitosi della famiglia di San Giuseppe Jato, arrestato nel 1996, è stato scarcerato ieri dalla Corte d’Appello di Milano, che ha anticipato di 4 mesi la scadenza naturale de 26 anni di condanna inflitti al “verru” (in siciliano, porco, per la brutalità dei suoi crimini). Ma vediamo quali reati aveva commesso e perché adesso è libero.
La carriera criminale
Il boss pentito sarà ovviamente sottoposto ai controlli di sicurezza previsti per i collaboratori di giustizia e dovrà scontare altri quattro anni di libertà vigilata.
Brusca fu il mafioso che il 23 maggio 1992 azionò il telecomando che fece detonare l’esplosivo sull’autostrada che da Trapani porta a Palermo, nella zona di Capaci, che pose fine alla vita del giudice Giovanni Falcone, della moglie e degli uomini della scorta.
Un crimine ancora più efferato fu il sequestro e l’uccisione di Giuseppe Di Matteo, il figlio undicenne di Santino, che da poco aveva iniziato a collaborare con la giustizia e che venne sciolto nell’acido su ordine di Riina e Brusca.
I benefici, il pentimento e la scarcerazione
Brusca ha usufruito di 80 permessi premio durante questi 25 anni di carcerazione, grazie alla buona condotta gli è stato concesso di uscire con 45 giorni di anticipo rispetto al normale termine, ma anche dei benefici previsti per i collaboratori di giustizia ritenuti affidabili.
Brusca ha usufruito, quindi, della legge 13 febbraio 2001 per i pentiti, infatti lo stesso ha testimoniato sul proprio ruolo nell’organizzazione e l’esecuzione della strage di Capaci, ma anche nel sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo – per cui grava su di lui una condanna a 30 anni -, ma anche in importanti processi come quello su Andreotti, Dell’Utri, la trattativa Stato-Mafia
Due anni fa, la richiesta presentata dai suoi avvocati per fargli usufruire degli arresti domiciliari venne rigettata dalla Cassazione.