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Gli orrori della Resistenza e le valutazioni che appaiono strumentali

di Matteo Lo Presti

 

Nell’emergere nella vita politica italiana di forti tensioni e tragici oltraggi alla storia della Resistenza negli orrori di valutazioni che appaiono strumentali ignoranze e gravi dimenticanze dei problemi che avvolgono la società durante il ventennio fascista, a nessuno tra uomini di destra e giornalisti compiacenti è venuto in mente di ricordare che il “Duce “ Benito Mussolini scappò da Milano il 25 aprile ’45, dopo un drammatico colloquio con il cardinale Schuster, nascosto in un camion della Wehrmacht diretto in Valtellina, vestito con cappotto ed elmetto nazista. Niente di eroico in questo ambiguo personaggio che da palazzo Venezia nel 1940 aveva annunciato la sua adesione alla guerra nazista urlando  “Vincere e vinceremo”. Mentre in privato da quello che si legge nei diari del genero Galeazzo Ciano sibilava: “Occorre gettare cinque mila morti sul tavolo della pace”. Nel momento in cui sembrava che le armate di Hitler potessero impadronirsi dell’Europa intera.

L’orrore di questa contabilità sulla vita di una giovane generazione che dal fascismo aveva avuto povertà, degrado culturale, estraneità dalla vita politica, era il frutto di una dittatura che  aveva in seno al popolo una quantità di analfabeti straripante e di reati penali coperti da una magistratura corrotta e complice. Migliaia di bambine strappate alla scuola e alle campagne erano sfruttate nelle maggiori città italiane come “servette” nella case del ceto medio, mentre  nel testo unico delle elementari si poteva leggere “Bambini diverrete soldati di terra: bersaglieri audaci come Mussolini, fanti valorosi come il Re”. Oppure: “Il Duce guida il popolo di Italia. Dio protegga il Duce”.

Consentite le preghiere, i diritti di libertà durante il fascismo erano ignorati. Giacomo Matteotti, don Giovani Minzoni, il giovane Piero Gobetti (“un cervello a cui bisogna impedire di funzionare” scrisse Mussolini), Giovanni Amendola tutti vittime di quell’ incivile atteggiamento che impedisce al giudizio politico di formulare giudizi morali.

Cercano gli irrispettosi lodatori del fascismo di nascondere i delitti dietro spudorate valutazioni politiche. Ignazio Benito La Russa che farnetica nella Costituzione non esistere la parola “Antifascista”. Ma tredici professori universitari decisero di non giurare fedeltà al Fascismo. O il cognato della Meloni ministro Francesco Lollobrigida che pretende scongiurare una “sostituzione etnica” in perfetto stile nazista di esaltazione della “pura razza ariana”. Battuta alle Olimpiadi di Berlino del 1936 dallo splendido atleta Usa di colore Jessie Owen, vincitore di quattro medaglie d’oro. E migliaia di ebrei anche fascisti perseguitati dalle leggi razziali. O il sindaco Cristian Vezzoli di Seriate (Bergamo) che improvvidamente pretende che il 25 aprile il rappresentante dell’Anpi non parli al comizio ufficiale, né che si canti “Bella Ciao”. Chissà quale vaniloquio organizzerà per smentire questa sua decisone amministrativa “Sono il rappresentante delle istituzioni”.

Ma la storia non fa salti. Uomini e donne con fierezza non servile hanno sconfitto la viltà dei fascisti di Salò, collaboratori dei nazisti nel trasferire migliaia di soldati italiani nei campi di concentramento tedeschi. Furono 600mila i soldati che dall’abominio dei forni crematori rifiutarono di aderire, in cambio della liberazione, ai richiami della Repubblichina di Salò (tra loro Giovanni Guareschi ed Alessandro Natta futuro segretario PCI).

Furono centomila gli alpini morti in Russia inviati senza armi, senza scarponi a conquistare territori per compiacere le follie di Hitler. In tutti i paesi italiani nei campeggiano monumenti e lapidi che onorano uomini liberi che donarono la loro vita in nome dei valori di libertà e pace.

Inutile maramaldeggiare  sulla crudeltà della guerra. I partigiani, lo scrive già il grande Beppe Fenoglio nel suo volume “Una questione privata” non furono carnefici sanguinari, ma neppure tutti eroi con il fazzoletto rosso a cantare Bella Ciao (non era di moda allora sulle montagne ). Fucilavano i prigionieri, erano uomini con le loro debolezze e il loro coraggio testimoniante. Ma non dubita mai Fenoglio che i partigiani fossero dalla parte giusta e  i fascisti dalla parte sbagliata. Genova unica città in Europa costrinse alla resa i nazisti che minacciavano di fare saltare in aria il porto. Il capo del CNL era Remo Scappini operaio del PCI molti anni di galera per antifascismo e una moglie Rina Chiarini , torturata alla casa dello studente  così atrocemente da perdere la creatura che aspettava e che di fronte agli elogi che riceveva,sussurrava timida “Si è fatto solo quel che si è potuto“. La resa avvenne nella villa Migone sede del cardinale Boetto che tanto si prodigò per quella resa.

Quando ancora La Russa ed altri pretesero di equiparare partigiani e fascisti come combattenti uguali, il magnanimo Giuliano Vassalli ( per un caso del destino nato il 25 aprile del 1915) si oppose con veemenza ,lui che era stato torturato in via Tasso dal criminale Kappler ,perché sostenne che in nessun paese europeo i collaborazionisti dei nazisti erano riconosciuti come degni dell’onore di militari combattenti. D’altra parte La Russa quando era ministro della Difesa e si recava in giro nel mondo a visitare le truppe italiane in missione, indossava sempre  tuta mimetica e scarponi, perché? Complesso di Napoleone? Massimo Recalcati o Umberto Galimberti o Eugenio Borgna scienziati della psiche umana quale spiegazione  danno della scelta di questa divisa non adatta ad uomo politico?

 

 

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