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Accade, ancora, in Italia

Giorgia è una bambina con sindrome di down. La madre scrive alla Ministra delle Disabilità, perché la figlia è stata esclusa dal saggio finale dalla stessa Scuola di Danza perché impacciata, goffa, non al passo con le altre bambine. I bambini, però, prima di ogni forma di preconcetto, vivono con serenità le naturali differenze con i pari. Poi arrivano gli adulti e marcano, appunto, le differenze. Ecco l’errore nel lasciare fuori Giorgia dal saggio finale. Un saggio che avrebbe reso tutti saggi.

 Mario Alberti

Giorgia, 12 anni, ballerina, viene esclusa dal saggio finale dalla stessa Scuola di Danza perché impacciata, goffa, non al passo con le altre bambine. La performance del gruppo, la sincronia necessaria ne avrebbe sicuramente risentito, compromettendo il risultato.

La madre scrive denunciando il fatto alla Ministra delle Disabilità, perché Giorgia è una bambina con sindrome di down.

In questa storia i temi sono tanti. Almeno quelli che vedo con la mia limitata osservazione.

Uno.

Siamo proprio certi che ciò che appare come nota dissonante non sia invece la vera musica?

La presenza in un gruppo di pari di una bambina con disabilità è quasi sempre facilitatore di elementi utili alla maturità di tutti gli altri.

Nel senso che i bambini, prima di ogni forma di preconcetto, vivono con serenità le naturali differenze con i pari.

Poi arrivano gli adulti e marcano, appunto, le differenze. Ecco l’errore nel lasciare fuori Giorgia dal saggio finale.

Un saggio che avrebbe reso tutti saggi.

Inoltre, intanto i termini giusti.

Non esistono disabili, ma persone con disabilità. Perché una parte non può mai identificare il tutto.

Ed entriamo, una volta per tutte e a testa alta, nella complessità dell’esistenza.

Senza semplificazioni.

Per questo motivo, anche di profilo anche semantico, non avrei mai immaginato un Ministero per le Disabilità.

Le parole fanno la differenza.

E questo è, di fatto, il secondo tema.

Tre.

Siamo certi che conti più una transitoria sintonia di corpi e, quindi, un buon esisto della performance, di una lacerazione d’animo in una bambina?

Cosa rimane alle compagne di danza che assistono all’esclusione di una danzatrice come loro, con tutù presumibilmente rosa cipria, magari un po’ più impacciata, e con gli occhi a mandorla?

Rimane forse la sensazione di non potersi concedere errori e, quindi, vivere l’esperienza con l’ansia della ottimale riuscita?

L’attesa di chi sarà il prossimo sarà compagna scomoda di ogni allenamento, fino a portare alla demotivazione ed all’abbandono.

Il vero fallimento non è riuscire, ma non provarci più.

E gli adulti non possono permettersi di dare messaggi di fallimento ai più piccoli.

Altrimenti il mondo come cambia, forse con un nuovo Big Bang?

Forse si, in realtà.

Ma la vita, si sa, è una bilancia con piatti immobili.

I fatti rimangono in equilibrio e i giorni proseguono con un’alternanza di bello e brutto.

Accade in Italia, il giorno dopo.

Bambino e cane vanno a prendere la funicolare. Ma al cane viene negato l’accesso in quanto privo di museruola.

Tutto giusto, si potrebbe pensare. Le regole sono regole.

Altro non fosse che il bambino è un bambino con autismo, ed il cane è un accompagnatore.

L’autista è irremovibile, nonostante i genitori del bambino mostrano i permessi ed il patentino di accompagnatore del labrador.

Ad un certo punto tutti i passeggeri si rifiutano di usare il mezzo se al cane, così importante per il bambino, non fosse consentito l’accesso.

L’autista cede.

La resistenza, di fronte ad una ingiusta legge, è un dovere.

Lo diceva Brecht, mica io.

Ecco il riequilibrio dei piatti della bilancia della vita.

Fatti che coprono e compensano, che aprono la pista per la risoluzione di ogni ottusità burocratica o di mentalità.

Scomposte iniziative collettive permeate di collettiva ribellione alle incongrue rigidità.

Alla fine, ecco cos’è la vita.

Un’alternanza di bello e brutto, di cose atroci con improvvise tenerezze. E noi abitanti non dobbiamo attendere il caso, ma orientarlo. Diventare destino dentro gli eventi che coinvolgono le fragilità umane.

Verso i più deboli occorra che scatti spontanea tutela da parte di chi non vive il problema.

Anche denunciando, assumendo posizione, persuadendo.

Comunque, impedendo che l’oblio prenda il sopravvento sopra un diritto di cittadinanza, o addirittura di esistenza, negato.

L’empatia più volte richiamata in altri scritti.

Non è facile, ma non è impossibile.

Però è salvezza.

Nota dell’autore: Giorgia è un nome di fantasia, non c’è nulla di ironico o politico, ma un richiamo al film “l’ottavo giorno”, presentato al festival di Cannes, con protagonisti Daniel Auteuil e Pascal Duquenne. La storia racconta la stupenda amicizia tra un ragazzo con sindrome di Down e un manager. E quest’ultimo, dall’esistenza traballante, viene salvato dal primo, appunto da George.

Perché le relazioni umane non contano il numero dei cromosomi.

Salvano e basta.

 

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