Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 9 Aprile.
Accadde che:
1868 (155 anni fa): Giosuè Carducci, titolare della cattedra di Letteratura Italiana all’Università di Bologna, viene sospeso dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per avere sottoscritto una lettera indirizzata a Mazzini e a Garibaldi. I verbali di quel processo furono scritti interamente a mano e sono rimasti inediti fino al 1993, quando furono ritrovati al ministero della Pubblica Istruzione. Sul banco degli imputati, insieme a Carducci, c’erano altri due colleghi professori, Ceneri e Piazza. Tutti e tre erano ex garibaldini convinti, che si resero colpevoli di aver scritto una lettera a Mazzini dove “s’ erano fatti voti per il trionfo di una causa e di un principio in aperta contraddizione coi principi e le guarentigie che sono posti a fondamento della costituzione civile dello Stato”. Grazie ad un lavoro di paziente scavo negli archivi, nei carteggi privati e nei documenti parlamentari vengono alla luce il ruolo dell’intellettuale in quel periodo, le condizioni degli atenei, l’emarginazione scolastica femminile e la ricostruzione del processo esemplare al poeta, condannato perché repubblicano.
1969 (54 anni fa): avvengono gravi incidenti a Battipaglia, provincia di Salerno, al diffondersi della notizia della decisione di chiudere due aziende storiche come la manifattura dei tabacchi e lo zuccherificio. Per la città è una tragedia, dal momento che metà della popolazione vive su queste due fabbriche, sulle coltivazioni. La chiusura di queste aziende significherebbe, quindi, disoccupazione e miseria. Così, vengono indette manifestazioni di protesta e cortei, ed lo scontro con le forze dell’ordine è drammatico. L’assedio dei dimostranti diventa un attacco e la polizia perde la testa e spara sulla folla uccidendo due persone: Carmine Citro, operaio tipografo di 19 anni e Teresa Ricciardi, insegnante in una scuola media, che viene raggiunta al petto da una pallottola, mentre è affacciata alla finestra di casa sua. Le cariche della polizia si susseguono per tutto il pomeriggio, ed in tutto si contano 200 feriti fra i dimostranti e 100 tra i membri delle forze dell’ordine. Il giorno seguente la gente scende in piazza inferocita, blocca ferrovie, strade e autostrade, dalle 17 alle 22 la città è in mano a tremila dimostranti, che devastano la stazione, incendiano il municipio, danno fuoco a duecento auto e poi assediano il commissariato di polizia e la caserma dei carabinieri. A Roma arriva, invece, la notizia che ci sono stati cinquanta morti e, temendo una insurrezione generale, viene subito trovato un accordo per la riapertura delle due aziende.
Scomparsa oggi:
1995 (28 anni fa): muore, a Roma, Edda Mussolini vedova Ciano, Contessa di Cortellazzo e Buccari. Nata, a Forlì il 1° settembre 1910 è stata la prima dei cinque figli di Benito Mussolini e sua moglie Rachele Guidi. Edda era la figlia prediletta di Benito: viziata, non istruita ma intelligente, forte e leale qualità queste che le permisero di diventare una delle donne più influenti del regime mussoliniano: per vent’anni è stata la confidente del padre, agendo come inviata sia in Germania che in Gran Bretagna e apprezzata per la sua intraprendenza. Sembra che il padre fosse solito dire di lei, scherzosamente: “Sono riuscito a sottomettere l’Italia, ma non riuscirò mai a sottomettere mia figlia”. Nel 1930, all’età di vent’anni, sposò a Roma Galeazzo Ciano, già avviato nella carriera da diplomatico, più tardi ministro ministro degli Esteri del regime fascista. Insieme furono la coppia più celebre della società fascista romana, fino al 1943, quando Ciano si schierò contro il suocero votando l’Ordine del Giorno Grandi, che proponeva la destituzione di Mussolini. Il Duce non sarebbe, infatti, mai riuscito a perdonare il genero, fucilato nel 1944 dopo essere stato condannato insieme ad altri gerarchi fascisti. Da quel momento ebbe inizio, per Edda, una battaglia solitaria: dopo aver tentato di salvare il marito barattando la sua vita con i famosi Diari tenuti dal consorte durante la guerra e fortemente critici nei confronti della Germania hitleriana, ebbe dei dissidi con la sua famiglia. Sotto falso nome, nel 1944 fuggì quindi con i figli in Svizzera, trovando rifugio in un piccolo convento di suore. Sarebbe tornata in Italia solo quattro mesi dopo la fine della guerra e la morte di Benito Mussolini, dietro richiesta del governo italiano. Condannata a due anni di confino sull’Isola di Lipari, dopo un anno poté beneficiare dell’amnistia promulgata da Palmiro Togliatti, allora ministro della Giustizia, ricongiungendosi con i figli e passando il resto della sua vita tra Capri e Roma. Dopo la sua morte è stata sepolta a Livorno, accanto alla salma del marito. Della madre una volta aveva detto: “Lei ha difeso il suo uomo, io ho difeso il mio”. Viene ricordata come una delle figure più coraggiose del regime: per tentare di salvare la vita del marito si schierò contro la sua famiglia, rischiando di mettere in pericolo anche la sua e quella dei suoi figli. Dichiarerà di aver perdonato il padre per non aver potuto o voluto salvargli la vita solo 50 anni dopo, sul punto di morire.