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Memorie di quand’ ero italiano

Il ritorno di Nicola Zitara nella penna di Pasquino Crupi, in una Riviera del 31 marzo 2013.

Pasquino Crupi

Merita un grande elogio Franco Arcidiaco, direttore delle Edizioni Città del Sole, per avere rimesso in circoloMemorie di quand’ero italiano” di Nicola Zitara, che Nicola Zitara aveva pubblicato a Siderno nel 1994, facendosi editore di se stesso. Il sottotitolo recava: romanzo storico. Didascalia che a Carlo Beneduci, protagonista d’un’ottima introduzione all’opera di Nicola Zitara appare come una sua limitazione e sminuizione. Per nulla. C’è semmai da sottolineare che si tratta di un romanzo economico. E non è questione da poco. 

Un tentativo di romanzo economico era venuto per la prima volta da Alessandro Manzoni. Ma il Grande Lombardo si era limitato a un abbozzo. Egli aveva fatto camminare sulle gambe di Renzo l’idea che il destino economico dell’Italia dovesse poggiare sull’industria. Con Memorie di quand’ero italiano Nicola Zitara va oltre l’abbozzo manzoniano. Dà compiuto il romanzo economico della dipendenza meridionale e quindi della sconfitta del Mezzogiorno. Non in astratto, ma in concreto, ovvero narrando quella sconfitta e quella dipendenza attraverso la vicenda della grande jenia dei Mercugliano, commercianti e persino armatori, dapprima prosperi e poi decaduti per effetto di processi economici, che, mentre aumentavano la ricchezza al Nord, impoverivano il Sud. 

Ha due marce questo romanzo intenso e inquieto di Nicola Zitara. Una marcia narrativa, che ingrana sempre ed è sempre adeguata, e una marcia saggistica, che non sempre ingrana e non sempre fa sentire allegro lo strepito del motore. Intendo dire che le linee di economia politica, responsabili della caduta del Mezzogiorno e pour cause della jenìa dei Mercugliano, erano dette tutte narrativamente senza richiedere con urgenza l’ingresso del saggista, che introduce teorie, spiegazioni e martella delusioni e illusioni, come quella della esistenza della Questione meridionale che si rivelò una beffa e un meretricio culturale. “Peccato- scrivevo nel quarto volume della mia Storia della letteratura calabrese (1997). Senza questa intrusione [quella del saggista] il romanzo di Nicola Zitara sarebbe stato un capolavoro”. Mi accorgo ora che chiedevo l’impossibile. Egli non volle scrivere un romanzo. Si è servito della tecnica del romanzo per narrare l’economia dualistica dell’Italia. E ci ha dato un romanzo storico, che  è un misto di storia e di fantasia. Ossia, il registro della realtà di sfruttamento del Mezzogiorno e il guanto di velluto d’una fuoriuscita attraverso il meridionalismo di separazione. Può darsi che mi sbagli. Ma vorrei indovinare, pensando che con questa riedizione di Memorie di quand’ero italiano si torni a parlare con passione e serietà dell’opera di Nicola Zitara.

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