Non Bella Ciao o similari, ma la canzone di Marinella sia l’inno ufficiale della Calabria in ogni lotta, affinché non scompaia.
No, non è stato, solo, lo scimmiottare, a mò di sfottò, l’uso dei radical chic che, nelle calde serate l’estate, tra le eleganti e ventilate verande delle loro dorate ville in Sardegna, mentre patiscono, senza darsi pace, per le ingiustizie e le diseguaglianze nel mondo, facendosi carico delle sofferenze e dei dolori dei poveri e dei diseredati, innanzi a cannoli fatti arrivare direttamente dal Continente, ascoltano, con gli occhi chiusi per aumentarne l’effetto della sofferenza interiore, affondati su poltrone, le melodie immortali del poeta dei Poveri e degli Ultimi, Fabrizio de André. No! Fare karaoke, come dei sbandati intorno ai grandi fuochi, nella notte di San Lorenzo su inquinate spiagge, cantando, con stonatura simile alle pescivendole del golfo del Tonchino, la splendida canzone di Marinella, grida eterna vendetta Anarchica.
La canzone di Marinella non ha nulla a che fare con una destra casereccia, godereccia, sbruffone, arrogante, ignorante, razzista, ma è la più bella poesia scritta nel ‘900, non è merce per scappati di casa e venditori di ferrovecchi. No, è il più alto inno che si potesse immaginare e canta l’epopea dolorosa e tristissima dei Calabresi nella grassa, ricca, razzista ed egoista Italia del Nord subito dopo il dopoguerra quando, attraverso le braccia e il sangue dei calabresi, quella parte d’Italia ha costruito il suo ricco modello di vita. Ora, come se fosse cosa loro, per mantenersi quel benessere, essendo corta la coperta una legge infame portata avanti, guarda caso, dalla Lega Nord per la Padania vuol distruggere l’identità storica, politica, culturale e sociale della Calabria, sottraendoci, persino, la banale economia della miseria attraverso la quale sopravviviamo. De André, scrivendo, cantandola e rendendola monito immortale, la Storia della sventurata Ragazza di Radicena, emigrata a Milano a 16 anni, sfruttata, espulsa, resa reietta, costretta a vendere il suo corpo e la sua anima per sopravvivere e, poi, a 33 anni, massacrata e buttata in un fiume, come il più schifoso sacco di rifiuti, ci ha voluto dire che, per sempre, il sangue degli oppressi ci dovrà perseguitare, finché non sarà resa giustizia. E se questa canzone è stata oltraggiata, ancora, in una consecutio temporum che solo i cretini può lasciar perplessi, non noi che ne comprendiamo il chiaro messaggio da parte di un manipoli di lucidi bontemponi bene, da questo momento in poi, se si è di Sinistra e Calabresi Resistenti, non Bella Ciao, ormai intonata persino dai nazisti ucraini, o altre canzoni similari, ma la canzone di Marinella, dovrà essere, non solo il nostro inno ufficiale, ma la Canzone delle future battaglie.
Santo Gioffrè