La tragedia di Cutro ci insegna che nessuna legge, nessun regolamento, potrà mai evitare simili viaggi. L’unica mia consolazione è l’accoglienza umana che i miei corregionali calabresi, indistintamente tutti in forza di un fortissimo ed antico sentimento di umanità e di civiltà riserveranno a tutti i naufraghi che giungeranno sulle nostre coste. Versando il vino e spezzando il pane, come una vecchia canzone che nei miei anni verdi era considerata di sinistra.
Il Consiglio dei Ministri tenuto a Cutro, praticamente su un unico argomento all’ordine del giorno, ha suscitato numerose e non inaspettate polemiche.
Vi tranquillizzo: non intendo entrare nel merito delle stesse, rifuggendo dalla demagogia che ispira sia le critiche, che la difesa del Governo Meloni.
Il quale, consentitemi di annotarlo, ha poche colpe nel naufragio degli sventurati profughi afghani, un centinaio di persone (72 cadaveri trovati; una trentina di dispersi) morte solo perché chiedevano all’Europa, la principale democrazia del mondo, che gli venisse riconosciuto il diritto di vivere. Ma che, consentitemi di esprimere anche questo, ha colpe indicibili nella gestione della crisi seguita al naufragio e nel rimedio proposto da Cutro: un inasprimento delle pene che, credo di averlo affermato tante volte in questi quattro anni e mezzo della mia rubrica, storicamente non ha mai avuto l’effetto di contrastare un fenomeno criminale, ma solamente di calmare i livori di linciaggio, emanazione della violenza e aggressività della “folla”, che ha una sua propria psicologia, distinta dagli individui che la compongono ed oggetto di studi particolari.
Un rimedio, insomma, che non risolve nulla, ma che rassicura: vediamo, adesso che la pena è di trent’anni, chi oserà traghettare irregolari verso l’Italia. Un discorso che una volta sarebbe stato di destra (e lo è); ma che oggi è un modo di ragionare anche della sinistra (che dal mio opinabilissimo punto di vista non è più tale, da quando ha scoperto che si può fare politica col potere giurisdizionale).
Ciò che trovo orripilante è che – escluso il Presidente Mattarella che si è recato a Cutro in visita privata, rendendo un commosso e silenzioso omaggio alle vittime del naufragio e la solidarietà italiana ai superstiti – da ogni parte si sia analizzato il naufragio in termini burocratici.
Discorsi (forse con l’unica eccezione dell’intervento al Senato di Matteo Renzi) preparati a tavolino da burocrati, con l’occhio più al regolamento, alla circolare e al cavillo giuridico, che alla dimensione inenarrabile di una tragedia immane, consumatasi a pochi metri dalla riva.
Tutte tesi burocraticamente sostenibili, sorrette da norme finalizzate a rendere opachi i comportamenti e non immediatamente individuabili le responsabilità, distinguendo le varie fasi dell’operazione con sigle misteriose, ad ognuna delle quali è legata una possibile giustificazione: perché da ognuna di esse, da ogni singolo passaggio deriva il successivo comportamento: se l’operazione è qualificata di polizia (competenza in mare della Guardia di Finanza, se non ho capito male, tra norme fumose), per carità che la Guardia Costiera stia ferma in porto, qualsiasi cosa stia capitando tra i flutti).
In agguato la commissione di reati speciosi, con l’abuso d’ufficio che non si nega a nessuno, con l’attesa di un’autorizzazione che dipende da altro. Non ho dubbi che se qualcuno chiunque, anche il titolare di uno yacht privato, si fosse mosso prima di un allarme ufficiale ed avesse salvato quelle disgraziate persone, avrebbe poi dovuto fare i conti con la giustizia italiana.
Ma, come sempre, non me la prendo col giudice: questi applica la legge che il legislatore gli ha dato.
La responsabilità è del legislatore. Nella specie nei provvedimenti adottati dal Governo Conte 1 in poi, che hanno limitato (fino ad escluderle) le funzioni di polizia in mare della Guardia Costiera; condizionato gli interventi di questa a dichiarazioni di emergenza e ad un ordine di salvataggio emanato da altri corpi; stabilito, insomma, nuove regole di ingaggio. Regole burocratiche, con decisioni vagliate da funzionari anziché da uomini d’azione. In ciò sta la tragedia di Cutro, conseguenza di una burocrazia che imbavaglia tutto ciò in cui si imbatte.
Sto scrivendo questo pezzo venerdì pomeriggio, anziché di sabato mattina come uso di solito, essendo domani gravato da altro impegno.
Mentre scrivo ho notizia che la Guardia Costiera e la Marina Militare italiana stanno intervenendo in soccorso di circa 1.300 persone su imbarcazioni alla deriva proprio nel tratto di Mar Ionio, teatro del naufragio di Cutro. Leggo che tre motovedette stanno operando, a circa 70 miglia a sud di Crotone, in soccorso a una imbarcazione con circa cinquecento (500!!!) persone a bordo, mentre altri mezzi della G. C. e la Nave Dattilo, poco più a sud, al largo del Porto di Roccella stanno salvando due barconi alla deriva con altre ottocento (800!!!) persone.
Segno evidente che la tragedia di Cutro ha avuto l’effetto di sburocratizzare (almeno in questa immediatezza) le operazioni della Guardia Costiera e gli interventi di salvataggio,
Leggo anche che i cadaveri ritrovati a Cutro sono saliti a 73 per il ritrovamento, alle 13:30 di un altro bambino. Finisco qui il mio aggiornamento sull’emergenza in corso, certo che la Guardia Costiera, corpo cui tutti gli italiani devono essere grati per la funzione svolta ora e nella sua storia, porterà a termine nel migliore dei modi le due operazioni.
La burocrazia, nessuna legge, nessun regolamento, potrà mai evitare simili viaggi.
Sento vaneggiare nel sottofondo quotidiano della nostra vita costituito dal continuo cicaleccio dei talk show politici, che si dovranno fare regolamenti per consentire agli emigranti di arrivare in Italia con documenti regolari e con un biglietto meno costoso del prezzo preteso dagli scafisti.
Mi sembra veramente un discorso allucinato: ci sarà sempre qualcuno che in un palazzo in fiamme, pur di non morire bruciato si getterà dal balcone: con la consapevolezza che probabilmente con quel salto incontrerà la morte, ma con una speranza, vaga, vaghissima, di salvarsi.
L’unica mia consolazione è l’accoglienza umana che i miei corregionali calabresi, indistintamente tutti in forza di un fortissimo ed antico sentimento di umanità e di civiltà, come sempre hanno fatto, riserveranno a tutti i naufraghi che giungeranno sulle nostre coste. Versando il vino e spezzando il pane, come una vecchia canzone che nei miei anni verdi era considerata.
Tommaso Marvasi