La disdicevole condizione in cui versa il giornalismo italiano, penosamente allineato sulla dottrina atlantista e sulla conseguente demonizzazione di Putin e della cultura Russa, rende sempre più ardua la ricerca da parte del lettore di forme di espressione libere da condizionamenti e frutto di ragionamenti e riflessioni autentiche. Chi ha voglia di disintossicarsi, corra in libreria ad acquistare il libro di Enrico Franceschini “Come girare il mondo gratis. Un giornalista con la valigia” edizioni Baldini+Castoldi. Enrico è stato corrispondente e inviato di Repubblica da mezzo mondo e, naturalmente, ha avuto l’opportunità di incrociare colleghi di enorme levatura che gli sono stati maestri. Mi ha colpito particolarmente l’omaggio al mitico (93 anni ancora in attività) Bernardo Valli decano degli “inviati speciali” (ha lavorato per Giorno, Corriere della Sera e Repubblica) che tra l’altro, per chi non lo sapesse, è stato marito della nostra Adele Cambria, icona del femminismo militante e altrettanto straordinaria giornalista e scrittrice. Franceschini definisce Valli “un maestro che ti da’ lezione senza l’impressione di darla, esponendo i suoi dubbi, come se non fosse mai sicuro di cosa scrivere, per sentire il tuo parere. Maestro di stile, oltre che di sostanza: scrive in italiano lirico senza bisogno di barocchismi, poetico ma asciutto”. L’esempio di Valli è utilizzato da Franceschini per deplorare l’indolente, per non dire paracula, convinzione dei giornalisti italiani che “all’articolo serva una chiusa”, vale a dire una frase a effetto o ancora peggio delle considerazioni esplicative che chiosino la notizia. Franceschini ricorda anche che un altro suo grande maestro, Rodolfo Brancoli, gli tagliò un commento finale di un articolo dicendo: “Non c’è sempre bisogno di una chiusa a effetto”. Bernardo Valli conclude i suoi pezzi mettendo semplicemente un punto in fondo all’ultimo ragionamento. Non serve altro. Suona perfetto così.
rev. Frank