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sabato, Novembre 23, 2024
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Noi siamo cresciuti con le “Ngiurie”

Alexandra Strick vuole intervenire sul linguaggio che provoca traumi ai bambini. In effetti, tutta la mia generazione è traumatizzata. Noi eravamo crudeli come i rasoi da barba con i peli, selvaggi che i tagliatori di teste del Borneo erano anime buone. Tra noi si usavano soprannomi, lievi come il morso di una tagliola.

 Questa tale Alexandra Strick vuole intervenire sul linguaggio che provoca traumi ai bambini. In effetti, tutta la mia generazione è traumatizzata. Noi eravamo dolci di sale. Crudeli come i rasoi da barba con i peli. Selvaggi che i tagliatori di teste del Borneo erano anime buone. Tra noi si usavano soprannomi, lievi come il morso di una tagliola. ‘Ngiurie. C’erano i soprannomi sulle caratteristiche fisiche. Si andava da “Panza i caniglia” (classico), a “Mappamondo”, da “Tavula tunda” al composto “Testa, culu e panza” per indicare i grassi. Per i magri c’era “Quattr’ossa” (classico), “Stecco”, “Asta i bandera”, fino al fantastico “Camion i l’ossa”, riferito al camion che settimanalmente faceva il giro delle macellerie per ritirare le ossa. La capigliatura: “Ferru filatu” per il ricciolino, “Giallo”, per il biondo, “Tigna” o “Boccetta” per i calvi. I piedi e le gambe: “Ferru i cavallu”, o “Galleria” per le gambe storte, “Peri i bambula”, “Dieci e dieci” per i piedi piatti. Il naso: “Naschiazza”, “Nasu i pipa”, “Gaber”, “Ciminera”. I difetti fisici venivano spesso esagerati, con astio malevolo a volte, con ironia altre. Chi portava gli occhiali era condannato: “Quattrocchi” era il minimo, e poi “Surici orbu” (La Talpa), “Pipiu”, o anche “Mike” (riferito a Mike Bongiorno) o “Cannocchiale”. La statura si prestava a tantissime trovate: c’era il classico “Nanu”, e poi “Mings” (i nemici storici di Braccio di Ferro), “Pigmeo”, “Mezza Botta”, per i bassi. “Cimedda” (classico), “Animalonga”, “Corda Tisa”, per gli alti. Venivano scomodati gli animali per descrivere: “Gatto- iattu”, “Lupo”,” Liuni”,”Canari”, “ Vurpi” “ ‘Lifanti”, “Sceccu”,”Rappareddu”, “Cinghiali” “Zimbiru”, “Giraffa” erano comuni e usatissimi, spesso affiancati da un aggettivo che completava la sintesi, come “Scimmia-ridarola”. C’erano “Jena Plinski” e “Canotto”, c’era “Testa i ‘ccendiri”, c’erano dozzine di “Tarzan”, di “Tex”, di “Cico”, di “Rocky”, di “Magoo”. C’erano “Chiovu” e “Butti”, “Legge di Mosè” e “Samarcanda”, c’era “U cornettaru” e “Vinu i Bivongi”,”Ramaya”,”Cynar”, “Gufo Triste”, “Cacazza”, “GesùCristu” e “Tumpulata”, c’erano “Dux”, “Hulk”, “Stalin”, “Lenin” e Hocimin (scritto così, come da graffito). Particolari quelli riferiti alla dotazione genitale: “Serretta”, “Sciabola”, “Ventotto”, Tubu Innocenti”, oppure “Pipino il breve”, o quelli riferiti al rapporto con le donne “Piglia e molla”, “Rischiatutto” (era uno che faceva la dichiarazione a tutte quelle che conosceva), “Tritatutto” (si fidanzava con chiunque), “U Bellu”, “ U Servu”. Per le ragazze ce ne erano alcuni tremendi “Iargi aperti” (gridava), “Barbi”, “MInnazzi, Opera Sila, Latte Stella, Miluni i pani” (tutti riferiti allo stesso argomento), alcuni erano teneri “Lucetta”, “Paperina”, “Umbra” “Focu ddumatu” ma anche “A sicca”, “Giumbolo” “Mussa i lappara” “Mandolino”, “La giostra”, “Opiri i beni”, “Occhi i Triglia” c’era una che chiamavano “a Opa” e non ho mai capito perché. Si, in effetti questi dolori infantili ci hanno traumatizzato, siamo tutti disturbati, poveri noi, tanto che appena abbiamo visto la foto della saggia Alexandra Strick la prima cosa che ci è venuta in mente è stata “Denti i zappa”.

Antonio Calabrò

 

 

 

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