«Se pensavate di ucciderci vi siete sbagliati. Loro, le vittime, continuano a volare. Voi ‘ndranghetisti avete perso. Questo luogo, che volevate luogo di morte, sta diventando luogo di vita. Noi non vi odiamo, perché non siamo come voi. Salvate i vostri figli, non fate fare loro la vostra vita di latitanza e carcere. Se decidete di farlo troverete il nostro aiuto. Oggi non è un giorno di lutto, è un giorno di festa perché la ‘ndrangheta ha perso e noi abbiamo vinto». Le parole di Mario Congiusta riecheggiano ancora nella mia mente, anche se sono passati cinque anni da quando le ha pronunciate, proprio nel luogo in cui mani criminali, alle quali ancora oggi non abbiamo il diritto di dare un volto e un nome, si sono prese la vita di suo figlio Gianluca. Era il 24 maggio 2005, una vita fa, anche se sembra non esser passato un solo giorno da allora. Quel luogo che ora porta il suo nome, il nome di un giovane buono, non è rimasto luogo di morte. È diventato luogo di vita, la stessa che, nonostante la violenza, ha continuato a scorrere, lasciando ciò che è brutto nell’ombra, ciò che è bello alla luce del sole. Mario oggi non c’è più, ma le sue parole hanno rappresentato molto più che un pugno in faccia a chi ha scelto di rimanere dalla parte sbagliata, pensando di poter disporre della forza a proprio piacimento, in nome di un potere soltanto fittizio e limitato ad uno spazio ristretto. Sono un’eredità che abbiamo raccolto, fatto nostra e portato avanti, per testimoniare ogni giorno che la violenza non è potere, la violenza è solo paura. Quando penso a Gianluca non posso non pensare anche a Mario. Alla sua forza, alla sua tenacia, al faro che ha rappresentato – e ancora rappresenta – per una terra che non ha voluto piegarsi. Alla semplicità delle sue parole, tutte vive come le sue battaglie, in nome di una giustizia che gli è stata negata, ma che ha cercato fino all’ultimo secondo. Su Gianluca non abbiamo una verità da spendere e consegnare ai libri di storia. Ma quella verità esiste ed è ostinata, nonostante gli sforzi di chi vuole seppellirla assieme alla propria coscienza, assieme alla propria vita, fatta di fuga e vigliaccheria. Di debolezze e mediocrità. La verità non conosce date di scadenza, supera le porte dei tribunali, che spesso rimangono chiuse e incapaci di dare risposte. Il testimone di Mario è rimasto a noi, a chi vuole continuare a camminare a fianco di Donatella, Roberta, Alessandra, donne di una forza disarmante, belle come lo è Mario, come lo è Gianluca. Belle come quel sorriso che nessuno ha mai spento e che vive ancora sul loro volto, nonostante il dolore, nonostante tutto. Nulla di tutto ciò esiste solo nel passato: la memoria non è commemorazione, ma tensione verso il futuro. «Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere», diceva José Saramago. Ed è per questo che continuo a ricordare Gianluca, Mario e tutti gli altri che non hanno avuto verità e giustizia. Ma la sconfitta è sempre la loro, di chi ha deciso di vivere al contrario, senza sorriso, con la sola brama di potere. Un potere che non esiste, perché con sé non porta nient’altro che rancore.
Il sorriso di Gianluca non ha mai smesso di abbagliare. E non si spegnerà. Perché non era lui a stare nel posto sbagliato, ma gli altri. Un posto che appartiene ancora a noi, nonostante le pretese di codardi e uomini soli. Allora tocca affondare le mani nelle sabbie del tempo, per trovare la memoria e scartare l’indifferenza. Una memoria che restituisce persone normali e non eroi, per far sì che sia la normalità a mettere radici.
Simona Musco