La nostra redazione conosce da molto tempo Alfonso Picone Chiodo, scrittore, agronomo e fotografo, dal 1997 circa, quando qualcuno ce l’ho indicò come fotografo della montagna aspromontana. Poi ci siamo rivisti molte volte, l’ultima volta al funerale del caro amico comune Fortunato Nocera, che ricordiamo sempre con affetto. Pochi giorni fa, siamo rimasti colpiti dal ritrovamento fatto dal professore, ovvero quello di un’ascia preistorica, risalente a un periodo compreso tra l’età del bronzo antico e quella del bronzo medio, circa al 1500 a.C. Per cui gli abbiamo posto alcune domande per capire meglio.
Nelle scorse settimane, nel suo girare e conoscere l’Aspromonte, ha fatto una scoperta interessante. Di cosa si tratta?
Quando ho raccolto il reperto, in occasione di una mia escursione avvenuta nel mese di novembre con Domenico Malaspina e Gianni Posillipo, non sapevo cosa fosse. Era un pezzo di metallo strano e l’ho raccolto per curiosità, come faccio spesso, riservandomi di chiedere appena possibile a qualche esperto. Dopo circa una settimana ho potuto contattare un archeologo al quale inviai delle foto, che mi disse immediatamente che era un’ascia preistorica. Poi, dalla consultazione di testi specialistici, la poté datare tra l’età del Bronzo antico e quella del Bronzo medio quindi 1.600-1.500 anni avanti Cristo.
Dove è avvenuto la scoperta?
In località Arioso, ai piedi di Monte Scapparone, lungo un tracciato sul versante destro idrografico della fiumara La Verde, che entra ed esce da diversi valloni. Era uno degli assi viari che collegava Casalnuovo di Africo alle fertili terre di Scrisà e poi scendeva alla marina. È il sentiero 115 del Parco Nazionale dell’Aspromonte, Samo-Casalnuovo, poco frequentato perché non semplice da percorrere. È un territorio che percorro da diverso tempo. Interessante anche perché conteso in antichità tra le poleis greche di Reggio e Locri e pertanto indagato da studiosi come Cordiano, De Nittis, Sculli, Stranges, Minuto, Tedesco e altri.
Qual è stata la sua prima reazione, quando ha capito di avere tra le mani un’ascia preistorica?
Di commozione. Sia per l’importanza del ritrovamento che conferma come l’Aspromonte è stata una montagna popolata dall’uomo da epoche antichissime. Ma l’ho vista anche come una ricompensa, un riconoscimento dell’Aspromonte al mio lungo e intenso impegno per conoscerlo e valorizzarlo.
Com’è stato possibile che un’ascia sia stata conservata in buone condizioni dopo tutto questo tempo?
L’ottimo stato di conservazione ha meravigliato anche me ma non so cosa dire se non che le modalità del ritrovamento sono quelle da me descritte alla Soprintendenza e che possono essere attestate da due testimoni. Io non ho fatto alcun intervento di pulizia se non maneggiare con cura il reperto. All’Ente, unitamente all’ascia, ho fornito un verbale che descrive dettagliatamente luoghi, oggetto e quanto utile ai fini della ricerca. Spero quindi che le indagini degli esperti facciano luce anche su tale questione. Posso suppore che qualcuno (un pastore, un cacciatore?) l’abbia raccolta nei dintorni, forse pulita o custodita per qualche tempo e poi, ignorandone il valore, l’abbia gettata sul sentiero dove io l’ho trovata. Ma sono supposizioni.
Una volta arrivato al museo, quale lavoro è stato eseguito sull’ascia?
Non ne sono a conoscenza. Mi è stato detto che forse verrà inviata a Cosenza (?) per delle indagini di metallurgia. Vivo interesse sul rinvenimento è stato manifestato dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria dato che il luogo montano del ritrovamento suggerisce l’opportunità di attribuire alla manifattura una utilità in ambito agro-silvo-pastorale, probabilmente quale strumento per l’utilizzazione delle risorse boschive. Pertanto, è stata avanzata richiesta dal prof. Giuseppe Bombino, Coordinatore del Corso di Studio Magistrale in Scienze Forestali e Ambientali, di poter effettuare un rilievo fotografico dettagliato per una riproduzione del reperto con stampante 3D.
Lei ha dichiarato di immergersi in questi luoghi. Cosa lo affascina di più dell’Aspromonte?
È una montagna di contrasti, dura e dolce, tragica e serena. Arcaica, severa. Dove l’uomo ha lasciato la sua impronta, i suoi segni da epoche antichissime sino ai giorni nostri. Posta al centro del Mediterraneo ha conservato l’impronta (nelle lingue, nelle tradizioni, nell’arte, nella cultura tutta) dei tanti popoli che vi sono passati. Ma dove anche la natura, con la flora, la fauna, la geologia rivela aspetti inediti. E nonostante ormai vi cammini da oltre 40 anni non finirò mai di conoscerla. Trovo sempre nuovi motivi di interesse, di studio. E quando qualcosa, spesso, mi è ignota posso ricorrere a un “pool” di amici esperti per opportuni chiarimenti. Dispiace che la componente antropica che popolava la montagna, (pastori, boscaioli, ecc.), stia scomparendo e con loro perderemo un patrimonio di conoscenze. E su di loro che, con l’arch. Domenico Malaspina, stiamo realizzando dei video. O un’indagine sui toponimi dell’area grecanica, ma ora anche di Africo, per la quale sono arrivato a documentare quasi 1.000 etimi rendendoli disponibili su di una mappa nel mio sito. O collaborando ad una ricerca internazionale dell’Università di Newcastle (Regno Unito) che dal 2019 indaga la complessa interazione tra strategie pastorali e paesaggi montani nel passato per trovare nella storia della pastorizia una interpretazione dei suoi sviluppi attuali e futuri.
Com’è nata la sua passione per l’Aspromonte?
Risale agli anni Ottanta del secolo scorso, quando l’Aspromonte era la montagna più famosa d’Italia, purtroppo a causa dei sequestri. Ma a me, all’epoca giovane studente, si rivelò con cascate, borghi abbandonati, boschi lussureggianti, pastori che parlavano greco e me ne innamorai. Un territorio però sul quale era caduto indistintamente un marchio d’infamia che lo voleva condannare all’emarginazione. In questo contesto nacque la missione che mi diedi: lottare per il suo riscatto sociale e dimostrare che era possibile una via diversa alla militarizzazione. Creando la prospettiva di uno sviluppo sostenibile fatto di giovani guide che accompagnavano i turisti, rifugi, cooperative, sentieri segnati e abitanti dei borghi che offrivano ospitalità nelle case. Iniziative che crearono anche le condizioni per istituire il Parco nazionale dell’Aspromonte. Un progetto all’epoca giudicato folle ma che ormai da oltre un decennio ha dimostrato la sua concretezza.
Noi abbiamo una storia immensa, cosa possiamo ancora aspettarci dalla nostra meravigliosa Terra?
Solo negli ultimi decenni si è visto un interesse degli studiosi rivolto alle aree interne e in particolare all’Aspromonte. Finalmente zoologi, botanici, sociologi, archeologi e ricercatori in genere se ne stanno occupando rivelando aspetti sinora sconosciuti. Spero questa attenzione si ampli alle tante branche della scienza e la ricerca istituzionale affianchi e supporti i pochi appassionati locali. in tal caso avremo ancora tante scoperte.