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sabato, Novembre 23, 2024
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Nella giornata in ricordo del brigadiere Tripodi a San Luca mancava San Luca

Nei giorni scorsi, il ministro Crosetto si è recato, a San Luca, per ricordare il sacrificio del brigadiere Tripodi. In quell’occasione, il sindaco del Paese, Bruno Bartolo, non è stato invitato e la comunità di San Luca è stata tenuta a distanza. Non è la prima volta che ciò accade, tanto per fare un esempio ricordo quando alcuni anni fa è stato inaugurato il campo sportivo. Anche il tale occasione, nel convegno che ha preceduto la consegna, hanno parlato una decina di relatori, ma non c’è stato lo spazio per dare la parola ad un solo cittadino di San Luca. È questa la logica conseguenza di quanti dall’interno pensano che lo Stato sia “Cosa loro” facendo il gioco degli scellerati che spingono i cittadini ad organizzarsi in “Cosa nostra”.

Nei giorni scorsi il ministro Crosetto si è recato, a San Luca, per ricordare il sacrificio del brigadiere Tripodi. Scelta buona e giusta, ma “stranamente” il sindaco del Paese, Bruno Bartolo, non è stato invitato e la comunità di San Luca è stata tenuta a distanza. È questa la logica conseguenza di quanti dall’interno pensano che lo Stato sia “Cosa loro” facendo il gioco degli scellerati che spingono i cittadini ad organizzarsi in “Cosa nostra”.

Non è la prima volta che ciò accade, tanto per fare un esempio ricordo quando alcuni anni fa è stato inaugurato il campo sportivo. Anche il tale occasione, stranamente ma non troppo, nel convegno che ha preceduto la consegna hanno parlato una decina di relatori, tra cui un ministro, il prefetto, ben due procuratori della Repubblica… Ma non c’è stato lo spazio per dare la parola ad un solo cittadino di San Luca e non è stata data neanche la possibilità al parroco di benedire il campo.

In quel momento, mi sono sentito orgogliosamente *santulucoto*come mi sento oggi.  Cioè figli di Caino a cui il Signore ha dimenticato anche di imprimere il segno sulla fronte.

Gli episodi su cui ci siamo soffermati sembrano insignificanti dinanzi alla “Grande politica” eppure rivelano, il progressivo sequestro dello Stato da parte di piccole minoranze e la nostra esclusione da esso.

In questi giorni sto riflettendo molto sulla storia d’un figlio dell’Aspromonte, il falegname Marco Perpiglia di Roccaforte del Greco, ricostruita in un libro del professor Carmelo Azzarà.

Perpiglia è stato espressione d’una Calabria coraggiosa, impegnata, bella e generosa ma aveva due vizi di origine: era comunista e per giunta calabrese. Ed infatti il 18 giugno del 1959 la questura di Reggio Calabria   inviava al Ministero degli interni una riservata sul falegname di Roccaforte, ritenuto “pericoloso per l’ordinamento democratico dello Stato”, ribadendo che “… il Perpiglia è tutt’ora da considerarsi elemento pericoloso, perché mantiene le proprie idee delle quali continua a fare propaganda.”

Le “idee pericolose” di cui parla la questura di Reggio Calabria sono quelle che hanno spinto Marco Perpiglia a combattere la guerra di Spagna nelle brigate internazionali, quindi ad essere internato (sempre perché “pericoloso”) nei lager di Vichy. Quindi

Consegnato, processato a Savona, da una apposita commissione e condannato a cinque anni di confino a Ventotene… (sempre perché “pericoloso”). Liberato dopo il 25 luglio del 43 invece di mettersi in salvo nella sua Calabria ritorna in Liguria a combattere nella Resistenza con il ruolo di commissario politico nella “Brigata Cento Croci.” Una vita di lotta per la libertà e forse proprio per questo, dopo ben 11 anni dell’entrata in vigore della Costituzione   viene considerato “pericoloso” da coloro che erano stati espressione del regime fascista.

Voglio sottolineare un dato: la commissione che confinò Perpiglia a Ventotene era composta dal prefetto, dal questore, del procuratore del re (oggi della Repubblica) e dal comandante della legione dei carabinieri. Insomma, da quella parte dello “Stato profondo”, sopravvissuta senza alcun danno al fascismo, e che nel 1959 era già in marcia per recuperare il potere perduto. La riservata del questore del 1959 ne è una dimostrazione. C’è un filo rosso che lega la vicenda di Marco Periglia con quella attuale del sindaco di San Luca ed è il tentativo dei costante dei pochi di estromettere i cittadini dallo Stato .

Ci riusciranno?

Ci riusciranno perché oggi non c’è alcun partito che contrasti l’involuzione antidemocratica in atto e la politica è ridotta ad un umiliante “ncugna e scugna” che, alla fine, non sarà in grado di cambiare nulla. Infatti, non c’è alcun partito disposto a difendere lo Stato nato dalla Resistenza anche grazie ad uomini che avevano conosciuto le patrie galere.

Così alla fine d’un lungo cammino noi saremo gli esclusi di domani. Il PNRR e la legge sull’autonomia differenziata ne sono la dimostrazione.

Una lontana sera del 1973 dalla Locride partiva un treno speciale per Roma e all’indomani eravamo migliaia a sfilare per le vie della Capitale.

Ho un nitido ricordo malgrado sia passato mezzo secolo, di una giornata limpida (in tutti i sensi) in cui l’entusiasmo era alle stelle.  Avevamo messo in piedi un progetto di recupero delle zone interne e dei centri storici preservando la Marina dallo scempio. Ed ancora un piano, sia pur grezzo, di Calabria produttiva senza ricadute sull’ambiente. Ricordo, tra tante cose, uno striscione con la scritta “San Luca non deve morire”!

San Luca era “nostra” ed oggi lo è ancora più di ieri.

Il “Palazzo” ci ha chiuso le porte in faccia. Pensate bene: le ha chiuse alla gente di San Luca e le ha aperte alla grande ‘ndrangheta.

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