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venerdì, Novembre 22, 2024
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Un pugno e una carezza per Falcomatà e Oliverio

La sera di martedì 8 novembre, l’affascinante e imperscrutabile Dike ha dato il meglio di sé, ed ha somministrato contemporaneamente un pugno e una carezza: Mario Oliverio ha trovato finalmente Giustizia dopo un inaudito e proditorio assalto, che ha comportato la sua letterale rimozione dalla Cittadella, facendo di lui la prima e unica vittima di “Colpo di Stato” della Repubblica italiana. Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, nella sentenza d’appello è stato condannato nella vicenda “Miramare”.

Tra le tante virtù che caratterizzano la dea Dike non risulta l’arte della facezia, ma si sa, la nostra è terra di pascolo per divinità e miti di ogni levatura che, soprattutto nel campo della giustizia, non esitano a generare effetti stupefacenti.

La sera di martedì 8 novembre, l’affascinante e imperscrutabile Dike ha dato il meglio di sé, ed ha somministrato contemporaneamente un pugno e una carezza (perdonatemi questo ardito passaggio dalla Dea della giustizia ad Adriano Celentano) a due politici calabresi di rango quali Giuseppe Falcomatà e Mario Oliverio.

Mario Oliverio ha trovato finalmente Giustizia dopo un inaudito e proditorio assalto, che ha comportato la sua letterale rimozione dalla Cittadella, facendo di lui la prima e unica vittima di “Colpo di Stato” della Repubblica italiana.

Assolto perché il fatto non sussiste. Una sentenza netta che cancella ogni ombra sulla sua condotta alla guida della Regione. Per intenderci meglio, la sentenza dice a chiare lettere che il procedimento non sarebbe mai dovuto iniziare; parliamo di un procedimento che segue quello denominato “Lande desolate” (altro clamoroso flop della Procura di Catanzaro) che ha interrotto l’attività di governo della Regione, improntata al rispetto della legalità e della trasparenza e che ha comportato prima la rimozione e dopo la mancata ricandidatura a Presidente di Oliverio. Niente e nessuno lo ripagherà dell’amarezza e della sofferenza generate da un’azione di malagiustizia, resa ancora più lacerante dall’attacco feroce del sistema mediatico che, quando si tratta di crocifiggere un politico, non esita a dare il peggio di sé stesso. Beninteso qui non si tratta di destra o di sinistra, ma si tratta di sottocultura giustizialista e manettara che trova il suo ideale terreno di coltura nell’antipolitica del qualunquismo di maniera. È stato bloccato ingiustamente un progetto che mirava a restituire dignità, giustizia e soprattutto una prospettiva alla nostra Terra che tutti i calabresi avevano il diritto di verificarne la qualità.

Contemporaneamente, dicevo, Dike, costringendo con i suoi potenti mezzi i giudici a quasi nove ore di estenuante lavoro straordinario in Camera di consiglio, ha somministrato un sonoro pugno a Giuseppe Falcomatà. La sentenza d’appello è stata pronunciata alle 23,37 e ha confermato la responsabilità della prima Giunta Falcomatà in ordine alla vicenda “Miramare”. Non starò qui a ripercorrere la vicenda a tutti ben nota, ma vi dico solo che se si vuol descrivere la penosa situazione in cui versano il corpo normativo della giustizia e il principio costituzionale dello stato di separazione dei poteri in Italia, il caso “Miramare” ne può diventare esempio paradigmatico.

La concessione provvisoria del bene, non onerosa per il cedente e non profittevole economicamente per il cessionario, avrebbe comportato certamente l’avvio di un processo virtuoso volto a restituire all’utilizzo pubblico, un prezioso immobile stile liberty la cui condizione di degrado costituisce ancora oggi un vulnus per il lungomare di Reggio e la città intera.

Il pasticcio, che comunque senza l’obbrobrio normativo della legge Severino e del reato di abuso d’ufficio non sarebbe stato tale, è stato generato dall’inettitudine e dal bizantinismo cronico che affliggono l’apparato burocratico del Comune. Sono stato ben sei anni al fianco di Giuseppe Falcomatà, con incarichi importanti e di una certa responsabilità e posso testimoniare che la sua azione è sempre stata improntata a uno smisurato amore per la città e ad un enorme sforzo di vederla crescere e tirarla fuori dalle secche in cui era stata incagliata da un quindicennio di nefandezze amministrative dei suoi predecessori.

Un lavoro immane che tutti noi abbiamo svolto con grande impegno, abnegazione e spirito di sacrificio. La legalità e la trasparenza amministrativa sono state, sin dai tempi delle primarie, il principio fondante dell’azione di governo di Falcomatà; direi che col tempo si sono trasformate in una vera ossessione, che lo hanno portato ad una deriva verticistica che, aggiunta ad una forte accidia verso il deleterio apparato burocratico, non ha giovato a nessuno ed anzi ha causato un’impasse che ha bloccato il circuito virtuoso e la realizzazione dei tanti progetti in cantiere.

Anche nel caso di Falcomatà, come di Oliverio, un’azione giudiziaria (supportata da norme inique purtroppo vigenti) ha interrotto un’attività amministrativa lungimirante, impedendole di passare dalla fase della semina a quella del raccolto.

Le anime belle della destra che festeggiano la conferma della condanna, spogliandosi senza pudore degli abiti garantisti che si erano cuciti addosso, dimenticano che Giuseppe Falcomatà è legittimato a svolgere il suo ruolo da ben due trionfi elettorali consecutivi e, quindi, ha tutto il sacrosanto diritto di concludere da sindaco questa legislatura.

Franco Arcidiaco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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