Nell’ultimo numero di Limes è stato pubblicato uno studio rigoroso e puntuale per dimostrare con assoluta certezza che la “Guerra Grande” è già iniziata. Solo a leggerlo si avverte un brivido alla schiena anche perché c’è l’assoluta consapevolezza che una tale scelta sarebbe una pazzia, ma nella storia dell’umanità i pazzi sanguinari spesso stati confusi per grandi statisti a cui innalzare monumenti. I popoli non si fanno guerra, sono gli “statisti” e le classi “dirigenti” che parlano, straparlano, “pensano”, spendono miliardi in armi per poi approdare all’era delle caverne.
Nell’ultimo numero di Limes è stato pubblicato uno studio rigoroso e puntuale per dimostrare con assoluta certezza che la “Guerra Grande” è già iniziata. Viene pubblicata una cartina che mostra la faglia invisibile che divide il mondo e che in pochi anni potrebbe portare ad una conflagrazione globale.
Solo a leggerlo si avverte un brivido alla schiena anche perché c’è l’assoluta consapevolezza che una tale scelta sarebbe una pazzia, ma nella storia dell’umanità i pazzi sanguinari spesso stati confusi per grandi statisti a cui innalzare monumenti.
Non ho gli strumenti per confutare o per dirmi d’accordo con lo studio di Limes, posso solo dire che in passato ho fatto qualche ricerca sulle conseguenze delle guerre del Novecento in un piccolo paese della Calabria in cui ci sono stati circa trecento ragazzi caduti su poco più di diecimila abitanti. E poi numerosi invalidi, tantissimi feriti indicibili sacrifici per tutta la popolazione sino all’ammasso obbligatorio dei raccolti, al razionamento del cibo ed alla fame nera. Ma più del numero mi interessava dare ai “protagonisti” un volto, una storia, una famiglia, una volontà. Per esempio, il 15 gennaio del 1941 un unico siluro ha ucciso tre di quei ragazzi. Avevano appena 22 anni ciascuno e stavano vicino, perché erano dello stesso paese ed in guerra un “paesano” diventa un fratello. Ufficialmente erano avieri del 4° stormo caccia appartenenti alla 91°squadriglia ma, in verità, erano solo tre braccianti agricoli, e tutti e tre provenienti da famiglie povere del paese e residenti in zone in cui le abitazioni non avevano l’acqua corrente, i servizi igienici, ed infine due su tre analfabeti.
Cosa aveva dato lo “Stato” a quei giovani? Nulla! Anzi quando portavano qualche chilo di ortaggi al mercato dovevano pagare il dazio sulla miseria.
Eppure, lo “Stato” ha preso loro la vita.
Pensando ai tanti giovani morti mi sono sempre domandato sul perché non abbiano reagito all’assurda pretesa delle “autorità” di mandarli in guerra. Perché non hanno reagito le loro madri, i loro padri, i fratelli chiamati come loro a uccidere o morire…. e forse uccidere sarebbe stato altrettanto duro che morire
Probabilmente avrebbero reagito se fossero stati coinvolti in una “questione di onore” o di “confini”, oppure per rispondere ad una offesa durante una discussione di paese. Invece, pur disperati, dinanzi alla cartolina precetto hanno obbedito.
Certamente alla base della loro scelta c’era la paura della “legge”; ma c’era soprattutto l’idea di non potersi sottrarre a qualcosa che l’intera classe dirigente era riuscita a far passare come un “imperativo categorico”, una cosa assolutamente giusta e secondo natura. Addirittura, voluta da Dio.
Il prete dall’altare predicava che rifiutarsi di partire per la guerra sarebbe stato un peccato mortale, mentre di dovere morale e civile parlavano tutte “le autorità” e quindi il notaio, il cancelliere, il magistrato e l’ufficiale delle imposte. Lo scrivevano i giornali ed era scritto sui libri che i “disertori” erano uomini senza onore, dei vigliacchi e traditori della Patria. Così migliaia di contadini analfabeti si sono consegnati mani e piedi legati ai loro carnefici e anche il piccolo paese di cui ci stiamo occupando perdeva la “meglio gioventù”. Piangevano disperate le mogli, le madri, le sorelle mentre i padri ed i fratelli ingoiavano le lacrime per non farle vedere. E, contemporaneamente, in altri villaggi lontani dove si parlava un’altra lingua, altri giovani come loro si preparavano a partire per la guerra.
Ricordo una donna che abitava a pochi passi di casa mia. Era alta e sempre vestita in nero con un fazzoletto in testa dello stesso colore, Nella stessa mattinata per due volte i carabinieri si recarono a casa sua perché i suoi due figli erano morti nello stesso giorno: Arturo, il più grande dei due, nell’Africa Orientale ed Attilio in Montenegro.
Oggi c’è una guerra che già ci coinvolge pesantemente e mi domando qual è la differenza tra i rassegnati braccianti e il colto cittadino di Milano, l’imprenditore di Treviso, il tecnico di Napoli, l’operatore turistico della Calabria, insomma tutti quei cittadini italiani che vivono in una relativa agiatezza, hanno la laurea o il diploma, hanno letto la Costituzione, navigano in rete e leggono i giornali?
Credo non ci sia alcuna differenza sostanziale.
Ci affidiamo a “classi dirigenti” che, a loro volta, dinanzi al reale pericolo di guerra hanno sostanzialmente lo stesso atteggiamento che ebbe “Casa Savoia” rispetto alla “grande guerra” o il Senato Romano rispetto a Cartagine. So bene che gli “intellettuali” quelli “veri” definirebbero la mia come un’analisi semplicistica dinanzi alla “complessità” dei fatti; lo hanno già fatto nel 1915 o nel 1940. Le “grosse teste” hanno pensato che i tempi per una guerra fossero maturi ma furono i ragazzi a morire e le nostre città ad essere distrutte. Rispondere alla guerra con la guerra è una risposta vecchia come il cucco. Ma, senza allargarci troppo torniamo alle vicende del piccolo paese: il soldato più giovane caduto in guerra aveva appena 19 anni; i russi lo scambiarono per un “invasore” e lo uccisero, ma era solo un garzone di fornaio. Sono sicuro che la stessa cosa avviene oggi con i giovani russi mandati in Ucraina e, come è avvenuto in passato, con i ragazzi ucraini mandati a reprimere il popolo ungherese o i guerriglieri afgani.
I popoli non si fanno guerra, sono gli “statisti” e le classi “dirigenti” che parlano, straparlano, “pensano”, spendono miliardi in armi per poi approdare all’era delle caverne.