La legge elettorale, questo Rosatellum rivisitato, ha permesso ai partiti di dare il peggio di sé sfoderando questo formidabile istinto darwiniano. Che, invece, tiene ben lontani “capi” e “capetti” dalle possibili (probabili?) orride figure nei collegi uninominali, lì dove c’è da sgomitare e far trionfare la proposta politica ritenuta migliore e la credibilità personale di ciascun candidato. Ma davanti a sfide epocali come i miliardi del Pnrr da mettere subito a frutto o i flussi migratori da gestire in modo bilanciato con tutta l’Ue, il colpo di reni sulla Qualità e sulle Competenze dov’è?
Andiamo un po’ a memoria. Coordinatore regionale del Pd: capolista al Senato nel ‘listino’ bloccato proporzionale. Coordinatore regionale della Lega: anche (per Montecitorio, però, e dopo la capogruppo a Palazzo Campanella). Coordinatore regionale di Forza Italia: pure (ma alla Camera). Coordinatrice regionale di Fratelli d’Italia: certamente (anche lei per Montecitorio, e con la variante d’essere in lizza pure nel collegio uninominale di Catanzaro). Coordinatore regionale di Azione: idem (nel Terzo polo “Italia sul serio”). Coordinatore regionale di Italia viva: di sicuro (però alla Camera e dietro l’ex ministro renziano Maria Elena Boschi, candidata al proporzionale in vari altri collegi). Coordinatore regionale di Ancora Italia: stessa cosa (capolista per Italia sovrana e popolare). Coordinatore regionale di Cinquestelle: … no, lui no, talmente era forte il pressing da parte di una masnada di deputati e senatori uscenti, molti ricandidati in collegi apparentemente ‘impossibili’, che Massimo Misiti ha preferito non riproporsi.
Peraltro, non fanno eccezione alcuni ‘paracadutati’, ma soprattutto parecchi ‘alti papaveri’ calabresi delle diverse forze politiche… E così per Fdi l’assessore regionale Fausto Orsomarso è in cima all’elenco bloccato per il Senato; per la Lega, stessa posizione (giusto dopo il lider maximo Matteo Salvini) per la collega di Giunta Tilde Minasi, già una volta senatrice che però optò per restare alla Regione, un po’ come fece il consigliere-deputato azzurro Mimmo Giannetta; per Forza Italia, guida il ‘listino’ per il Senato l’ex sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, segni particolari: essere il fratello del Governatore in carica; è Nico Stumpo il capolista per la Camera del Pd (‘ospite’, vista l’appartenenza ad Articolo Uno; l’ex deputato forzista Nino Foti è in cima all’elenco bloccato di Noi moderati (in quota-Noi con l’Italia) per Montecitorio; la rediviva ex deputata Dorina Bianchi guida il ‘listino’ di +Europa per la Camera.
E poi ci sono i leader nazionali, dal già citato Salvini a Luigi Di Maio (guida il ‘listino’ per Montecitorio di Impegno civico), da Luigi de Magistris (capolista per la Camera in Unione popolare) a Mauro Alboresi (capolista per il Senato per il Partito comunista).
In tutto ciò, fra i 16 nomi citati le donne sono solo tre.
Non è un elenco di nomi: al di là degli esiti del voto, è la plastica prova della disfatta di un’intera classe politica, in cui segretari e big locali nella formazione delle liste hanno puntato più che altro all’autopreservazione complessiva.
La legge elettorale, questo Rosatellum rivisitato, ha permesso ai partiti di dare il peggio di sé sfoderando questo formidabile istinto darwiniano. Che, invece, tiene ben lontani “capi” e “capetti” dalle possibili (probabili?) orride figure nei collegi uninominali, lì dove c’è da sgomitare e far trionfare la proposta politica ritenuta migliore e la credibilità personale di ciascun candidato.
E a dispetto di mille parole sul civismo “alto”, anche i – radi – campioni della “società civile” in prevalenza sono nella bambagia delle liste bloccate, fattore che non fa spiccare il volo al dibattito sui programmi.
Il primo dato, naturalmente, promana dal taglio draconiano al numero complessivo dei parlamentari.
Se non sono più 945 (630 deputati + 315 senatori, a parte quelli ‘a vita’) ma 600 (400 deputati + 200 senatori, ma in realtà 392 deputati + 196 senatori: gli altri 14 parlamentari saranno eletti infatti dalla Circoscrizione Estero), se in Calabria non ne verranno più designati 30 (20 deputati + 10 senatori) bensì 19 (13 deputati + 6 senatori), già i numeri ci dicono quasi tutto. E indicano con chiarezza l’esigenza di ‘stringersi’ per non penalizzare troppo gli uscenti epperò far largo ai dirigenti ‘in’, non indulgere a scelte incomprensibili per i supporter epperò lasciare spazio a qualche beneficiato qui e lì.
Subito dopo, tuttavia, arriva la questione del coraggio assolutamente scarso della politica, dei corpi partitici, spesso persino dei soggetti che orgogliosamente ci tengono a definirsi movimenti.
Un capitano affonda con la sua nave, si diceva una volta: in Italia, beh, da tempo immemore capi e capetti politici fanno a gara per chi è più schettino dell’altro. E diventa sempre più difficile censurare il più consistente partito italiano, il Non Voto: noi continuiamo a credere che alle urne occorra andare sempre e comunque, ma chi fa politica ce la sta mettendo tutta per scoraggiare gli elettori.
Ecco che la questione del sistema elettorale ci riporta brutalmente a una grande realtà, che ‘ribaltiamo’ in chiave regionale.
Dei 13 deputati da eleggere in Calabria, 8 saranno individuati col proporzionale; dei 6 senatori, saranno 4 quelli eletti col proporzionale: insomma 5/8 dei parlamentari vengono eletti col sistema proporzionale e solo 3/8 col maggioritario, come nelle altre realtà territoriali, per la sostanziale conferma della legge 165 del 3 novembre 2017.
Ora: questo sistema elettorale fa acqua da tutte le parti.
Come dicono gli anglofoni, appare nor fish, nor flesh; non ‘davvero’ maggioritario (ricordate il pressing in questa direzione di Mariotto Segni & C.?), né proporzionale al punto da garantire un realistico diritto di tribuna per le forze minori.
Intanto, perché ovviamente spuntarla nei collegi uninominali, in cui si vota appunto col maggioritario, è davvero proibitivo per una forza politica piccola. E però – a dispetto dell’evidente ratio legis – gli accorpamenti in liste ‘over’, in grado di conseguire risultati davvero importanti e non farsene penalizzare, sono stati radi e malriusciti. Per la serie: meglio padrone a casa mia, che…
Poi c’è lo sbarramento che, in combinato disposto col sistema di voto, rischia di rendere davvero minimale la rappresentatività (a vantaggio, questo va pur detto, della governabilità).
Siamo, infatti, davanti a una soglia d’accesso al 10% nazionale per le coalizioni e al 3% nazionale per le liste autonome o che si presentino all’interno di un singolo schieramento (per le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute: 20% in una singola regione o almeno due parlamentari eletti all’uninominale) per essere ammessi al riparto dei seggi. E i suffragi per chi resta sotto soglia? Dall’1% al 3% varranno per il riparto-seggi per la propria coalizione (ma non per la lista rimasta sotto il 3%), sotto l’1% non saranno neanche conteggiati.
Bisogna però stare attenti al sistema adottato di riparto in base ai resti più alti (Hare-Niemeyer).
In realtà, il 3% è solo una quota necessaria – sotto la quale ‘sicuramente’ non si avranno seggi –, ma non sufficiente. Se ci saranno resti più alti per liste già destinatarie di seggi “col quoziente intero”, liste pur sopra il 3% potrebbero non ottenere alcun parlamentare.
Un effetto disproporzionale, lo chiamano i tecnici, secondo il quale la soglia effettivamente utile a ottenere seggi in una regione come la Calabria potrebbe oscillare fra il 10% e il 15% dei suffragi: uno “sbarramento implicito” che in altri territori come l’Umbria o la Basilicata arriverebbe fino al 20% e oltre.
Come sempre, però, la criticità non sta tanto nel sistema elettorale in sé, ma nella sua applicazione. E proprio questa disvela la cronica mancanza di coraggio dei partiti di cui si parlava.
Ma davanti a sfide epocali come i miliardi del Pnrr da mettere subito a frutto o i flussi migratori da gestire in modo bilanciato con tutta l’Ue, il colpo di reni sulla Qualità e sulle Competenze dov’è?
Mario Meliadò