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Il silenzio e l’abbandono degli ultimi della piramide sociale

A una settimana dalle elezioni politiche, guardo perplesso il vociare, spesso insulso e incomprensibile, di una classe politica che si è auto-generata e si auto-conserva. I politici si combattono in dispute che non affrontano i disagi di fasce sempre più estese, con aumento dei prezzi insostenibile. I più disagiati, i senza voce, senza portavoce, stanno a guardare e non andranno a votare. Non vedono, al momento, più prospettive di cambiamento, aspettando tempi migliori.

 A una settimana dalle elezioni politiche, guardo perplesso il vociare, spesso insulso e incomprensibile, di una classe politica che si è auto-generata e si auto-conserva.

Non è un rimpianto dei vecchi politici, anche loro spesso statue imbalsamate, che resistevano sino alla morte politica, se non interveniva il passaggio ad altri lidi.

Basta guardare l’escursus e i ruoli conservati fino a 90 anni da alcuni politici, da destra a sinistra.

Era un periodo diverso, la fine delle guerre in Europa e la speranza di un mondo migliore, sia nel settore occidentale, che nel campo a dominazione sovietica.

Una competizione tra i due prospettive alternative che in Italia ha comportato vantaggi a tutti gli strati sociali per l’esigenza degli USA di tenersi un alleato fondamentale, ma anche per la forza di un partito, che si definiva orgogliosamente comunista e che era legato al modello dell’Est.

La forza prorompente dei lavoratori e dei sindacati hanno prodotto negli anni tra il 1960 e il 1980 a conquiste sociali che altri paesi dell’occidente ci invidiavano.

Non sono mai stato filosovietico ed ho gioito, quando i tedeschi hanno abbattuto il muro che divideva le due Germanie e i due sistemi politici e ideologici, sembrava aprirsi una nuova era tra i popoli.

Tra nuove rivoluzioni industriali e innovazioni epocali dei sistemi produttivi, è arrivata la rivincita dei “padroni”, che hanno ripreso il controllo delle fabbriche, ma anche della vita delle persone.

L’esautoramento di fatto i sindacati, spesso silenti testimoni di un mondo che cambiava, cui non sapevano dare risposte efficaci, se non la difesa del posto di lavoro, ma con meno diritti dentro e fuori dalla fabbrica, ha chiuso un ciclo.

La “lotta di classe dei lavoratori” che sembrava inarrestabile è stata sconfitta e adesso assistiamo alla vittoria delle lotta di classe dei “padroni” imprenditori, che hanno trovato orecchie attente nei governi, che hanno accolto supinamente le loro richieste.

Gli alfieri del nuovo mondo, la classe operaia delle grandi fabbriche, che ormai sono state de-localizzate nei paesi a bassa o nulla sindacalizzazione, non sono più in prima fila a combattere, ad essere portatori di nuove proposte.

Non sono più il perno su cui ruotava il vecchio PCI, ormai dissolto e artefice di altri interessi, da quando è entrato al governo del paese, privilegiando gli interessi nazionali e non anche quelli dei lavoratori, abbandonati ai ricordi dei fecondi anni ‘70.

Un impoverimento generale che ha coinvolto molti strati e professioni, con una piramide, al cui vertice si trovano poche persone miliardarie, mentre la base si è notevolmente ampliata e impoverita..

Le distanze in termini di redditi e di rendite tra vetta e base è esplosa in modo scandaloso, abissale, spesso portando molti lavori e anche professioni a livelli di sussistenza, quando la disoccupazione per molti è diventata uno stigma da cui non si riesce a uscire.

Tutto è cambiato, anche i riferimenti, per cui i lavoratori si sentono difesi da quei partiti, che sempre sono stati loro controparte, quelli che hanno fatto leggi che difendevano i loro padroni imprenditori, che diminuivano i diritti sindacali e le leggi del lavoro.

Quelli che per anni tagliavano i servizi e agevolavano, con meno tasse, i redditi alti, spesso con l’avvallo di quelli che si considerano eredi di quel sommovimento, composto da lavoratori delle fabbriche e dei servizi, studenti e intellettuali, che ha trasformato l’Italia.

Quando il tuo nemico diventa l’immigrato sfruttato da vecchi e nuovi padroncini, quelli delle aziende agricole del sud e nord, quelli del lavoro nero e sottopagato, significa che un nuovo pensiero penetra tra le fasce più esposte alla crisi.

Gli stessi lavoratori non trovano risposte e non hanno più come punto di riferimento la solidarietà e il collettivo, che è stato la forza dominante che li aveva fatti diventare protagonisti di un ciclo di lotte e di trasformazione sociale.

Ricostruire a sinistra un pensiero, un’idea nuova che coinvolga ampi strati di lavoratori di tutti i settori e le nuove forze ecologiste e di rovesciamento dell’esistente, è un passaggio obbligato per affrontare la crisi che sta attanagliando sempre più famiglie, aziende e lavoratori, che hanno stipendi con meno potere d’acquisto.

I politici dopo averci portati in una guerra disastrosa e immorale, adesso tacciono su questo e nel silenzio assoluto si combattono in dispute che non affrontano i disagi di fasce sempre più estese, con aumento dei prezzi insostenibile.

I più disagiati, i senza voce, senza portavoce, stanno a guardare e non andranno a votare.

Non vedono, al momento, più prospettive di cambiamento, aspettando tempi migliori.

Francesco Martino

 

 

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