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Catanzaro e il consenso tribale

A Catanzaro, buona parte dei suoi cittadini si è affidata alle uniche due cose che ancora hanno senso nella nostra società: gli amici e la famiglia. Nessuna condanna moralista, dunque, se molti votano seguendo le logiche tribali, è questa la Catanzaro in cui vivono, ed è questo l’unico modo che hanno trovato per sopravvivere e non sprofondare nella solitudine e nell’isolamento sociale.

Secondo una serie di indicatori socioeconomici, Catanzaro è una città in lento, ma costante declino. La popolazione residente nel capoluogo di regione era di circa 95.000 abitanti nel 2001, vent’anni dopo si è ridotta a poco più di 86.000. Negli ultimi dieci anni nella provincia catanzarese sia la disoccupazione generale sia quella giovanile è drammaticamente aumentata. Sempre più giovani hanno, dunque, dovuto abbandonare la città per studiare e poi lavorare nel resto d’Italia o all’estero.

Nel 2001 Catanzaro era la città con il reddito pro-capite più elevato nella sua provincia, oggi invece è terza dietro Soverato e Montauro. Il motivo è presto detto, negli ultimi anni la maggior parte degli investimenti privati si sono dispiegati sulla costa ionica. Basta vedere le attività commerciali aperte tra Soverato e Montauro e confrontarle con quelle chiuse a Catanzaro.

Insomma, i catanzaresi investono sulla costa ionica, aprono attività commerciali dove poi si direzionano (ormai sia d’inverno che d’estate) i consumi; in molti, di conseguenza, vivono lì e non pagano più le tasse comunali nel capoluogo. La ricchezza si è spostata in provincia, contesto in cui Catanzaro non riesce neppure più ad essere una città attrattiva.

Qualche giorno fa, è andato in scena il primo turno delle elezioni comunali, che bene rispecchia questa crisi che è insieme socioeconomica e politica. Nella scheda avuta al seggio gli elettori potevano contare ben 6 candidati sindaco, 23 liste (quasi tutte “civiche”) e un totale di circa 700 candidati. Un esercito di aspiranti consiglieri, roba da fare invidia ai più quotati concorsi pubblici. Non facile scegliere per chi votare, anche se a dirla tutta sì è recato alle urne quasi il 66% degli aventi diritto.

Ognuno aveva un fratello/sorella, un cugino/a quando non anche un genero/nuora o un amico/a del cuore contemporaneamente candidato.  Ovviamente il voto disgiunto non è stato sufficiente ad accontentare tutti. Sarebbe servito piuttosto il “voto ubiquo”, un tipo di voto che forse i catanzaresi potrebbero chiedere venga adottato per poter evitare di scontentare qualche amico o parente la prossima volta.

Il più votato tra i candidati sindaco, il professor Donato, ha raccolto quasi il 44% dei voti, mentre le sue liste hanno ottenuto ben il 53,8%. Insomma, ad alcuni interessava che Donato diventasse sindaco mentre a molte più persone che il proprio congiunto o amico diventasse consigliere.

Ecco Catanzaro, dove relazioni e istituzioni sociopolitiche di tipo moderno sono ampiamente ininfluenti ai fini della selezione del suo governo cittadino. Non è l’appartenenza a comunità religiose più o meno radicate nel territorio a influenzare o determinare il voto. Non lo è neppure la collocazione individuale in diverse classi sociali e l’adesione ad organizzazioni sociali di rappresentanza, come sindacati o associazioni di categoria.

I partiti non ne parliamo. Questi non sono da tempo strutture capaci di indirizzare e poi dirigere i destini della città. Gli unici due che si sono presentati in questa tornata elettorale sono stati Partito Democratico e Fratelli d’Italia, che hanno raccolto singolarmente la miseria del 5% dei voti di lista.

Non c’è nemmeno un esagerato voto di scambio di tipo politico-mafioso ad inquinare il consenso e le elezioni, perché per fortuna Catanzaro è in parte al riparo da grandi famiglie mafiose che spadroneggiano in lungo e in largo altrove in Calabria. Anche il voto di scambio di tipo economico, basato sulla ricerca di favori più o meno legali, influisce relativamente ed è ormai poco più di un luogo comune. Perché a Catanzaro (come in buona parte del Sud d’Italia) non c’è più niente da scambiare, trattandosi di una città sempre più povera e disabitata con tassi di disoccupazione alle stelle.

Che cosa allora determina la vita politica del capoluogo di regione della Calabria? Nella rarefazione più completa del tessuto sociale che la contraddistingue, l’unica cosa che resiste ed esiste è il legame tribale, ovvero quello con i propri parenti e amici. Catanzaro ha una struttura politica di tipo tribale e la sua vita politica, la scelta della sua classe dirigente, si basa anzitutto su due categorie: il sangue e le amicizie.

Sarebbe però sbagliato pensare che Catanzaro sia una città “arretrata”, in realtà il capoluogo calabrese è specchio del presente: è un modello ampiamente replicato in numerose città italiane. Indifferentemente dal partito di appartenenza, infatti, negli ultimi trent’anni la classe dirigente italiana ha fatto propria la massima della signora Thatcher secondo cui: non esiste la società, esistono solo gli individui. Così abbiamo visto la politica trasformare l’Italia in un paese fragile, insicuro e frammentato nei mille egoismi e personalismi locali, un paese che ha distrutto le reti di protezione sociale e indebolito le istituzioni pubbliche a salvaguardia degli spazi condivisi e dei beni comuni (come ad esempio la scuola).

Eppure, nonostante decenni di neoliberismo sfrenato, al contrario di quanto affermava la Thatcher, gli uomini e le donne d’Italia hanno cercato di costruire nuove o conservare vecchie forme di socialità, perché per propria natura l’essere umano non è capace di vivere in solitudine, come un individuo isolato. Ed eccoci dunque di nuovo a Catanzaro, dove buona parte dei suoi cittadini si è affidata alle uniche due cose che ancora hanno senso nella nostra società: gli amici e la famiglia.

Nessuna condanna moralista, dunque, se molti votano seguendo le logiche tribali, è questa la Catanzaro in cui vivono, ed è questo l’unico modo che hanno trovato per sopravvivere e non sprofondare nella solitudine e nell’isolamento sociale.

Chiunque vincerà le elezioni a Catanzaro si spera tenga conto di questa dinamica. Negli anni sono state numerosissime le iniziative dal basso in campo sociale, culturale e politico che hanno tentato di risollevare le sorti del capoluogo, a dimostrazione che esistono strade alternative per rispondere al declino della città. Queste esperienze però da sole non bastano, devono essere infatti in primo luogo le istituzioni comunali a farsi carico della impellente necessità di ricostruire i legami di un tessuto sociale e umano che renda Catanzaro una comunità di cittadini. Forse così i programmi, le idee, i valori e la visione del futuro della città conteranno veramente qualcosa nell’elezione del consiglio comunale e del sindaco.

Andrea Borelli

 

 

 

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