Le storie della tradizione calabrese sono senza incantesimi e filtri, ecco i nostri eroi e i nostri cattivi
Quello delle fiabe è un mondo a rovescio, popolato incanti e stranezze. Ma nonostante l’irrealtà che la caratterizza, anche la fiaba è “regolata” da alcune norme; norme valide in tutto il mondo, ma puntualmente ignorate in Calabria. Scopriamo perché con la fiaba calabrese intitolata “Le tre raccoglitrici di cicoria”. Dunque, com’era? Ah, già: c’era una volta…
C’era una volta …
L’incipit delle fiabe è sempre lo stesso e porta con sé un indefinito sentore di meraviglia. “C’era una volta”, non si sa mai quando, non si sa mai dove. I protagonisti invece sono sempre gli stessi: “C’era una volta un re”, così cominciano le fiabe di tutto il mondo, a eccezione della Calabria: in Calabria c’era una volta un orfano, o un muratore malato, o una vedova disgraziata. La fiaba che abbiamo preso come esempio, infatti, comincia così:
C’era una volta una mamma povera con tre figlie tutte femmine. Quand’era tempo di cicoria, le tre ragazze andavano a raccogliere cicoria insieme alla mamma.
«Perché?» Vi chiederete. «Possibile che andiamo controcorrente anche nelle fiabe?». Certo, possibile. Anzi, evidente. Le fiabe calabresi riflettono una condizione sociale ben nota, vissuta quotidianamente sia da chi le racconta che da chi le ascolta. Non è un caso che le protagoniste siano una mamma povera e tre figlie (tutte femmine!): si tratta di personaggi per cui non serve ricorrere all’immaginazione e ci si può immedesimare in loro senza fatica. Col passare del tempo, contadini e donne povere hanno preso il posto di re ricchi e potenti; d’altronde, una cosa del genere accade solo nelle fiabe!
Dove la realtà si mescola con l’immaginazione
È il prodigio che caratterizza le fiabe. Anche nelle versioni calabresi, così intrise di vita quotidiana, è rimasto quel pizzico di magia capace di incantare grandi e bambini. Le origini della fiaba risalgono tutto il corso della storia e approdano ai tempi del mito, che è la culla delle creature fantastiche. Non dobbiamo attendere a lungo per trovare un essere soprannaturale anche nel nostro racconto:
Un giorno la figlia maggiore restò indietro. Aveva visto una pianta di cicoria molto grande e si era messa a tirare per sradicarla (…) Tira e tira, finalmente la sradicò con tanta terra attorno alle radici che si aperse una fossa, e in fondo alla fossa c’era una botola. (…) C’era una stanza sottoterra. Nella stanza, seduto su una sedia, c’era un Drago.
Il Drago è un personaggio che abita moltissime fiabe calabresi. Non figuratevi un grosso serpente squamato che vola e sputa fuoco: probabilmente si tratta di una creatura ben diversa. Nel Dizionario delle tre Calabrie, Rolhfs tenta l’etimologia del suo nome, che fa derivare da «toro» (ταῦρος, tauros) o da «capro» (τράγος, tragos). Se così fosse, dovremmo pensare a un essere che ha le sembianze di un quadrupede. Ma il mondo della fiaba gli attribuisce alcune caratteristiche ben precise: il Drago parla, il che lo rende simile all’uomo; mangia carne umana, per cui potremmo assimilarlo a una belva; possiede poteri magici che lo rendono praticamente invulnerabile, e questo ci fa pensare a un essere incantato. Inoltre abita sottoterra, lontano dalla vita civile e dal resto degli uomini: come la maga Circe e il ciclope Polifemo, il suo mondo è parallelo al nostro e la sua vita, solitaria e selvaggia, è regolata da strambe abitudini. Nella nostra fiaba, il Drago accoglie l’eroina facendole una richiesta assai bizzarra:
Ti lascio qui il pranzo. È un piede d’uomo. Se tu lo mangi, quando torno ti prendo per sposa. Ma se vedo che non l’hai mangiato, ti taglio la testa!
Stando all’etimologia del nome e alle caratteristiche fisiche, è probabile che il Drago sia un incrocio di tutte e tre le nature: umana, ferina e soprannaturale. D’altra parte, il folklore greco arcaico pullulava di creature superumane, dalle sirene ai centauri, dalle arpie alla Sfinge; un essere paranormale, per metà uomo e per metà cavallo, è sopravvissuto anche nei racconti popolari più moderni con il nome di Callicantzaro. Niente di più naturale, quindi, che i mostri delle fiabe calabresi siano i pronipoti dei personaggi mitologici di 2500 anni fa!
Il colpo di genio
Nelle fiabe calabresi non ci sono bacchette né incantesimi né filtri: nessuna scorciatoia magica, insomma, rende più semplice la missione che l’eroe deve compiere. Anche in questo caso, l’universo fiabesco riflette da vicino il mondo reale e fa in modo che il protagonista dell’avventura se la cavi con un colpo di genio. È per questo che gli eroi a cui i bimbi del sud si ispirano sono contadini furbi, principesse travestite, sartine con centinaia di assi nella manica! Prendiamo di nuovo la nostra fiaba, che avevamo lasciato nel punto in cui il Drago minaccia di tagliare la testa all’eroina se lei si rifiuta di consumare la cena a base di carne umana. La ragazzina, che secondo una secolare abitudine fa di nome Mariuzza, non si fa prendere dal panico e si fa venire un’idea:
Prese il mortaio di bronzo e ci pestò il piede col pestello. Lo triturò fino fino; poi lo mise in una calza e si nascose la calza sotto i vestiti, sul ventre. Venne il Drago: «L’hai mangiato il piede?».
Mariuzza schioccò la lingua: «Sapeste quant’era buono! Mi lecco ancora le labbra!»
«Ora vediamo: piede, dove sei?»
E il piede «Sulla pancia di Mariuzza!»
«Brava, brava! Tu sarai la mia sposa!» disse il Drago.
E vissero per sempre … ricchi e contenti!
Agli eroi delle fiabe calabresi non gliene importa niente di vivere felici: loro vogliono diventare ricchi. Il riscatto sociale è il primo obiettivo (o, se vogliamo, il desiderio irrealizzabile che alla fine si realizza) di ogni eroe che si rispetti, considerato che la maggior parte degli eroi è povera in canna.
Volete sapere come finisce la nostra fiaba? Siete curiosi di scoprire se il Drago diventa un bellissimo principe e fa di Mariuzza una sposa felice? Ci dispiace deludervi, ma la nostra eroina non è abituata alle smancerie: lei va per le spicce. Dopo essersi fidanzata col Drago, Mariuzza lo fa ubriacare di vino e lo uccide, si impossessa di tutti i suoi averi e scappa a dorso di cavallo. Se visse felice non sappiamo, ma ricca probabilmente sì!
Certo, le fiabe calabresi non hanno per protagonisti solo vedove e taglialegna: di quando in quando si incontra, in qualche racconto, una principessa rinchiusa nella torre; ma forse si tratta di storie nate altrove e portate qui da un mercante o da un girovago. In Calabria le fiabe sono racconti che poco hanno a che vedere con la magia e molto, invece, con la furbizia, l’intelligenza, il coraggio e la capacità di riscattarsi. Di fantastico è rimasto ben poco e anche quel poco, per quanto magico, ha molte cose in comune con la realtà.