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sabato, Novembre 23, 2024
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Il coraggio della verità

Il Sud d’Italia è fatto anche di chi ha creato imprese che nulla hanno da invidiare al resto del mondo: un insieme di piccole e grandi imprese, in tanti ambiti e in particolare nel mondo dell’agroalimentare, che dimostrano che se si vuole si può; se si vuole si può creare lavoro, eccellenze e reddito in modo onesto e redditizio. E da questo il nostro territorio deve ripartire: facendo in primis conoscere queste realtà, perché non serve continuare a scrivere di lamentele, di cose negative. E magari fra qualche tempo potremmo smettere di parlare di questione meridionale”.

Ogni tanto, sui giornali o sui social, ma anche nelle pagine della Riviera rispunta un termine che fa sempre effetto: “La questione meridionale”. Un termine coniato addirittura da Cavour, primo Presidente del Consiglio del Regno d’Italia, che al momento dell’unificazione aveva ben chiaro che se non si fosse affrontato con lungimiranza il progetto di ammodernamento del paese e sopratutto del Sud Italia, sarebbe esploso appunto il problema del meridione. 

Non sto qui a schierarmi fra chi dipinge il Regno delle Due Sicilie, come lo stato più ricco e moderno dell’Ottocento distrutto e saccheggiato dai piemontesi e chi come un paese arretrato con qualche rara eccezione di eccellenza, ricco ma solo per i pochi privilegiati della corte Borbonica; come in ogni cosa, la verità sta nel mezzo. Sostenere in modo talebano una delle due tesi significa non vedere la storia nella sua realtà. E, purtroppo, tanti esponenti della cultura come tante persone comuni del Sud spesso commettono questo errore, scaricando le colpe dell’attuale situazione di evidente arretratezza delle regioni del Sud al potere egemone e saccheggiatore del nord (che pure ha le sue colpe).

Bisogna avere, invece, il coraggio di affrontare la verità per quello che è, rileggendo anche solo gli ultimi settant’anni della nostra Repubblica e avere una buona dose di autocritica.

Il Sud d’Italia è una terra stupenda, ricca di meraviglie culturali, naturali e gastronomiche come pochi posti al mondo, ma i suoi abitanti hanno spesso fatto scelte che hanno fortemente condizionato lo sviluppo e l’economia del territorio: a partire dal sostegno a quei partiti che in cambio del voto hanno garantito assistenzialismo, invece che sviluppo (con la Democrazia Cristiana nella prima repubblica e con il Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni) passando per l’uso distorto degli enormi fondi destinati al sud dai vari governi che si sono succeduti in tutta la storia della nostra Repubblica. Perché bisogna avere l’onesta intellettuale di smettere di dire che al Sud non si è investito, non si sono fatte strade, infrastrutture, ospedali o quant’altro dipendesse dallo stato perché si sono destinati i fondi ad altre parti d’Italia: gli investimenti stanziati per il meridione spesso sono stati superiori a quelli stanziati per il resto d’Italia (basta leggere le carte e i bilanci del ormai famoso carrozzone che è stata la Cassa del Mezzogiorno); solo che i cittadini (almeno una buona parte) di questa parte d’Italia hanno preferito incassare questi soldi, finiti in tanti rivoli di assistenzialismo e mantenimento, piuttosto che investirli in quelle infrastrutture, di cui oggi siamo drammaticamente carenti. E non avendo bisogno di creare attività, di sviluppare ad esempio il turismo nonostante l’enorme potenziale offerto da madre natura avendo uno stipendio” garantito da tutte queste forme di assistenzialismo o da piccole o grandi truffe ai danni dello stato, oggi ci troviamo di fronte ad un divario economico reale importante con altre zone d’Italia. E ancora oggi si preferisce sfruttare le opportunità come i fondi Europei o il sostegno economico a fondo perduto di strutture come Invitalia, non per creare attività con un futuro ma per speculare e incassare i soldi per continuare a sfruttare l’assistenzialismo dello stato.

In questo contesto anche la diffusione delle mafie si incastra perfettamente in un’ottica del guadagno facile o di come alternativa comoda alla strada del lavoro pulito ma che comporta sacrificio, e che diventa sempre più difficile da creare in un contesto sempre più complicato, creando una spirale dalla quale è difficile uscire.

Il mito del posto fisso statale poi, meravigliosamente inquadrato da un uomo del Sud come Checco Zalone nel suo film più famoso, ha fatto il resto, creando addirittura un numero di dipendenti pubblici notevolmente superiore a quelli necessari (basta vedere il numero dei forestali di alcune regioni) con un livello qualitativo di servizi ai cittadini, comunque, inferiore a quello di regioni con organici molto più limitati. Un mito tornato prepotentemente di moda nell’ultimissimo periodo con il massiccio esodo di tanti abitanti verso altre zone, grazie ai nuovi posti garantiti dal mondo della scuola, diventato ormai un rifugio per motivi economici piuttosto che una missione (con conseguente abbassamento ancora maggiore rispetto ad una situazione già non rosea della qualità dell’insegnamento nelle scuole italiane, fra le peggiori dell’Unione Europea).

Sicuramente non possiamo non considerare che anche lo spostamento dell’area di riferimento economico dal mediterraneo ai paesi del Nord (come la Germania) ha aiutato lo sviluppo di industrie o servizi più nelle regioni settentrionali (più vicine e più facilmente collegabile ai nuovi centri di potere) rispetto alle regioni del Sud. 

Ma se continuiamo a scaricare le colpe agli altri senza esaminare criticamente le scelte di chi queste meravigliose terre le abita, non ci sarà mai un futuro per il Sud.

Per fortuna oltre a tutto questo, il Sud d’Italia è fatto anche di chi a questo andazzo ormai consolidato si è ribellato e ha provato, con ottimi risultati, a creare imprese che nulla hanno da invidiare al resto del mondo: un insieme di piccole e grandi imprese, in tanti ambiti e in particolare nel mondo dell’agroalimentare, che dimostrano che se si vuole si può; se si vuole si può creare lavoro, eccellenze e reddito in modo onesto e redditizio.

E da questo il nostro territorio deve ripartire: facendo in primis conoscere queste realtà, perché non serve continuare a scrivere di lamentele, di cose negative. Esaltiamo le positività delle nostre zone, facciamo vedere ai giovani e ai meno giovani che cambiare si può. Con difficoltà e sacrifico certo (ma questo vale per tutta Italia), ma si possono ottenere grandi risultati e invertire una rotta che ormai sembra consolidata. Ripartiamo da noi stessi, smettendo di aspettare che siano altri che ci aiutino, che ci mantengano; e di conseguenza ci sfruttino.

E magari fra qualche tempo potremmo smettere di parlare di questione meridionale”.

Riccardo Angelini

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