Rientrato da un viaggio oltre le rive del Rubicone, non sono Cesare, ho deciso di fare zapping, vagando come tanti alla ricerca di qualcosa che intrattenesse la mia curiosità sino al limite permesso da Morfeo. Il dito, compulsivo nella scelta dei canali, si ferma su un canale dispari e dei più in voga nei talk show di quest’epoca post-biscioniana e, per gioco del caso, o delle probabilità possibili, ecco in scena la Calabria protagonista, ma sempre sul solito, irrisolto, tema della sanità. Che dire? Cerco di resistere ai primi fulgori giornalistici e al politichese di circostanza che si alimentano, entrambi, dell’ennesimo dramma questa volta di una bimba del crotonese. Un dramma che potrebbe sommarsi ad altri pari tristi episodi che ci condannano ora alla rassegnazione, per chi può permetterselo se in salute, o alla rabbia del momento cercando colpe e responsabilità senza girare l’angolo della nostra esperienza umana o di un quotidiano che, come sempre, scorre senza turbolenze se in queste non ci finisce un nostro caro. Insomma, nella ennesima rappresentazione di un quadro giornalisticamente desolante e politicamente sconcertante, in attesa che un governo decida di rimuovere sigilli alla taumaturgicità di un possibile nuovo salvatore, che faccio? Cambio canale! Che scelta avrei potuto fare se non assistere al solito teatro delle recriminazioni o della condanna di soliti sconosciuti ai quali, per essere tali, tutto si può imputare? Certo, avrei preferito ascoltare discorsi più articolati e che andassero verso una proposta di riorganizzare una sanità pubblica che sembra essersi persa nel deserto politico. Ma, alla fine, cosa resta a telecomando poggiato sul tavolo del salotto? La consapevolezza di sempre che in Calabria il problema è e rimane la gestione dell’emergenza e una diagnostica celere e puntuale nei risultati; l’ospedalizzazione, seppur importante, viene subito dopo. Mi chiedo allora, in Calabria quante Medicina d’urgenza, così concretamente definibili e non solo per etichetta di reparto, sono presenti con capacità di cure di coma diabietici e/o altre patologie indifferibili nell’immediato? Quante pediatrie chirurgiche esistono? Perché i bambini vengono operati prevalentemente da chirurghi per adulti? Il problema è stato il commissariamento? E il commissariamento, con le sue figure improbabili, da cosa e da chi è stato determinato? Ovvero, prima dei commissari chi ha gestito la sanità calabrese? Chi ha fatto proliferare diagnostica e prestazioni in regime privato ma necessariamente convenzionato? Perché certe capacità diagnostiche vengono offerte in regime privato rigorosamente in convenzione e in pubblico no? Come mai la maggiore offerta di sanità privata si concentra in precise aree della regione, quanto questa incide sul bilancio regionale in termini di spesa sanitaria sottraendo risorse impiegabili a ridefinire prestazioni e diagnostiche in regime pubblico? Insomma, ma davvero crediamo che il problema sia costruire nuovi ospedali piuttosto che investire nella gestione dell’emergenza e delle capacità chirurgiche dei Dea/Pronto soccorso? Davvero crediamo che sia il posto letto in più che farebbe la differenza e non una rete di soccorso pubblico che abbatta le distanze e tenga conto delle percorrenze per salvare la vita di un paziente che vive in un paese qualunque della nostra regione? Aspettiamo con ansia non solo le risposte, ma il possibile miracolo, l’uomo del destino che tutti attendono…come sempre!
Giuseppe Romeo