La crisi della giustizia mi pare emerga in tutta la sua drammatica dimensione nella vicenda della richiesta di rinvio a giudizio per Matteo Renzi, in una difficile ipotesi di finanziamento illecito al partito politico del PD. Si tratta di un’indagine annunciata clamorosamente nel settembre 2019, con una perquisizione all’alba in ben undici città alla ricerca di documenti contabili difficilmente occultabili e tutti ricostruibili.
La crisi della giustizia (penale, nella fattispecie) mi pare emerga in tutta la sua drammatica dimensione nella vicenda della richiesta di rinvio a giudizio per Matteo Renzi (e per ben altri dieci indagati, tra i quali Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Marco Carrai e Alberto Bianchi) in una difficile ipotesi di finanziamento illecito al partito politico del PD (del quale Renzi era all’epoca segretario) per tramite dell’ex Fondazione “Open”.
Si tratta di un’indagine annunciata clamorosamente nel settembre 2019, con una perquisizione all’alba in ben undici città alla ricerca di documenti contabili difficilmente occultabili e tutti ricostruibili. In ciò un primo vulnus da rilevare: le perquisizioni a sorpresa, i blitz all’alba sono necessari, quando lo sono: meno giustificabili quando si ricercano documentazioni nell’ambito di società organizzate, alle quali basterebbe magari soltanto chiederne l’esibizione. Salvo ovviamente volere suscitare un clamore mediatico (tacendo di quel perverso gusto che deriverebbe da un’irruzione a sorpresa, che descrive mirabilmente Sciascia in alcuni suoi romanzi).
Comportamento la cui legittimità sarebbe oggi da verificare con le norme a tutela della presunzione d’innocenza: che è un caposaldo del nostro ordinamento, non una novità dell’ultimo anno. Laddove le modalità dì una perquisizione plurima con i conseguenti sequestri danno già all’opinione pubblica l’idea dell’individuazione dì una banda dì colpevoli.
Indagine che si basava su una ipotesi molto dubbia: che la Fondazione Open non agisse come tale e per il conseguimento dei suoi scopi statutari, ma che fosse soltanto una copertura per fare conseguire finanziamenti puramente politici: una vera e propria “articolazione di partito”, impiegata come strumento di finanziamento illecito
Tesi difficile da dimostrare e che la Cassazione, sia pure in un provvedimento cautelare relativo al sequestro Carrai, ha contraddetto, evidenziando una serie di criticità fattuali e di di diritto.
Perché vi sia una condanna penale si dovrebbe raggiungere una convinzione di assoluta certezza: al di là di ogni ragionevole dubbio. Ora, salvo il caso (e ignoro se sia così) che i magistrati inquirenti abbiano raccolto altre nuove decisive prove, quel procedimento, col “dubbio” certificato dalla Suprema Corte, non sarebbe dovuto andare avanti. La richiesta di rinvio a giudizio senza nuovi sconvolgenti prove potrebbe essere determinata soltanto dalla obbligatorietà dell’azione penale, che chi mi segue sa che, a mio avviso, è all’origine di moltissimi mali della giustizia penale, offrendo un paravento anche alle iniziative più improvvide e più devastanti.
Sennonché la reazione del Senatore Renzi alla richiesta di rinvio a giudizio mette in crisi proprio questo principio. Renzi ha denunciato alla Procura di Genova, competente per i fatti concernenti i giudici fiorentini, i pubblici ministeri che hanno chiesto il suo rinvio a giudizio ed il procuratore capo di Firenze: ed i giudici di Genova sono tenuti, proprio in ossequio alla richiamata obbligatorietà, ad aprire un procedimento ed a definirlo: con la non remota possibilità che la questione, se archiviata, finisca ai giudici europei.
Un gesto clamoroso quello di Renzi, ma che certifica la perdita di prestigio della giustizia e la sua auto delegittimazione, derivata dalla sciagurata gestione della vicenda Palamara: che continua imperterrito a narrare vicende, da nessuno smentite, che fanno perdere qualsiasi credibilità alla magistratura che non reagisce e non prende provvedimenti: necessari, invece, perché la magistratura tutta riconquisti il suo ruolo, essenziale e non derogabile in uno Stato di Diritto.
Per farlo deve rinunciare ai suoi riti ed ai suoi vizi, deve rinunciare a quel sistema di ricatti e di scambi che si legge ormai in varie narrazioni e che sono, purtroppo, realtà. Il potere, peraltro, si esercita anche così, spietatamente e cinicamente. E alcuni giudici hanno imparato a gestirlo.
Ma un simile sistema, nella giustizia, non è tollerabile, proprio perché il semplice sospetto determina una delegittimazione: che si riverbera nella società più di qualsiasi crimine.
Renzi non si è limitato a denunciare i suoi inquisitori fiorentini (di violazione dell’art. 68 Costituzione e leggi di esecuzione dello stesso e di abuso di ufficio), ma ha anche cercato di squalificarli moralmente, narrando in programmi televisivi seguitissimi, loro vicende disciplinari concluse con provvedimenti risibili: come i due mesi di perdita di anzianità stabiliti dal CSM in relazione ad un preteso abuso sessuale che – afferma Renzi, avrebbe comportato per un cittadino normale una condanna penale.
Come a dire ai giudici: come osate lapidarmi voi peccatori. Insomma un laico “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
In un contesto in cui nessuna delle due macroparti in contrasto perenne ha l’umiltà dei cattolici di ammettere i propri peccati come singoli: così che nessuno dei due poteri, né quello giudiziario, né quello politico, può dire di non guardare ai loro peccati di uomini, ma alla funzione esercitata dalla loro categoria: perché nessuno oggi ci crede più. Forse neppure loro stessi.
Tommaso Marvasi