Un bimbo graffiato e morso a Palmi; un ragazzo rimasto bambino a Paola, cresciuto fino a 27 anni senza che gli sia stato insegnato a parlare, a scrivere a mangiare, solo in un tugurio; le cifre spaventose della dispersione e dell’evasione scolastica; i bimbi delle rughe predestinati all’inferno. Ginevra è morta a Roma, nei suoi 24 mesi di vita ha realizzato quanto sia difficile nascere in Calabria: ha lasciato il mondo lontano da casa, guardandola come fosse su un altro pianeta. Perché la Calabria non ha un’unità di terapia intensiva per l’età pediatrica. Ginevra l’ha trovata a Roma. E non c’era più nulla da fare. Qualunque bambino calabrese, in un frangente tragico, di chiunque sia figlio, la terapia intensiva se la deve cercare fuori. Le terapie intensive per adulti dispensano cure improprie. C’è un decreto commissariale, Scura, del 2017, che autorizza la creazione di un’unità complessa regionale di terapia intensiva pediatrica. Un decreto fatto di lettere morte, rimasto lettera morta. Un’ennesima sconfitta che debbono intestarsi in molti, l’ultima di una serie infinita di partite perse che forse dovremmo intestarci tutti, chi per violazione di un obbligo istituzionale, legale, chi per l’inosservanza di una tenuta morale, civile, civica. Senza qualunquismi, la tragedia di Ginevra dà atto dell’inutilità di una politica che non risolve, che chiacchiera soltanto. Una politica che, in generale, è esautorata, si è fatta esautorare, del cuore del potere di cui era detentrice naturale. Che ha ormai un margine ristretto di influenza, ma in quel margine concessogli non opera che per sé stessa, tralasciando il benessere generale. La politica calabrese, è chiaro, ha pesanti limiti di manovra, come accade per altre Regioni; ma negli altri posti questa assenza opera su sistemi già funzionanti, rodati, che comunque, pur se per inerzia, procedono. In Calabria, l’inerzia, l’inettitudine, gli interessi propri, cadono in meccanismi vuoti, in servizi inesistenti. Ginevra, a due anni, è morta a centinaia di chilometri di distanza, nel tempo in cui i rappresentanti calabresi stavano a Roma per “eleggere”, un nuovo Presidente, lo stesso di prima, di una Repubblica che persevera a essere distantissima dalla Calabria.
Gioacchino Criaco