Nicola Morra, Presidente della Commissione parlamentare Antimafia, in un discorso a Platì, in cui faceva riferimento al popolo sanluchese, tacciava Corrado Alvaro di timidezza e di rassegnazione. Così non è come dimostra la risposta di Fortunato Nocera, uno dei massimi esperti di Alvaro. Per cui noi lo bocciamo, perchè ha espresso un giudizio su un autore e su un popolo che probabilmente non conosce.
Di tanto in tanto salta fuori qualcuno che si sente autorizzato ad esprimere giudizi su personaggi di cui probabilmente non conosce, almeno profondamente, la vera natura di cittadino o, se si tratta di uno scrittore o di uomo noto al pubblico, la vera sostanza del suo pensiero. È successo così anche ad uno stimabile personaggio di alto livello politico della nostra Repubblica, il Senatore Nicola Morra, Presidente della Commissione parlamentare Antimafia il quale, in un discorso in cui faceva riferimento al popolo sanluchese, tacciava lo stesso di timidezza e di rassegnazione e, citando il suo cittadino più illustre Corrado Alvaro, pur tessendone gli elogi come scrittore, lo accusava delle stesse qualità negative. Non è molto raro, in Italia, che si parli o si accusi per sentito dire o per aver letto commenti malevoli o per polemica gratuita o per ripetere cose trite e ritrite in anni precedenti. Non si può definire timido e rassegnato chi, a soli 27 anni firma, assieme ad altri 52 intellettuali, tra i quali Umberto Zanotti Bianco, Eugenio Montale e Piero Calamandrei, il manifesto antifascista redatto da B. Croce in risposta a quello pro-fascismo scritto da Giovanni Gentile; a chi sul Mondo di G. Amendola, giornale apertamente antifascista, continuò a scrivere contro il nascente regime totalitario “nel 1922 ero al Mondo il giornale di opposizione al fascismo. Vi scrissi volontariamente cose che mi costarono poi molti guai…Gli attacchi che mi facevano i giornali mi impedivano di vivere e riparai Berlino… Ero antifascista per temperamento, per cultura, per indole, per inclinazione, per natura.” Minacciato parecchie volte dagli squadristi, fu poi aggredito fisicamente dagli stessi il 16 dicembre 1925, mentre passeggiava assieme all’amico filosofo e critico Adriano Tilgher, pure lui menato. Ma anche rileggendo i suoi scritti si capisce che il suo carattere non è rinunciatario o tendente alla rassegnazione; Antonello il protagonista del suo racconto più conosciuto e apprezzato, Gente in Aspromonte, non è un tipo arrendevole; egli reagisce anche violentemente alle angherie perpetrate dai padroni contro la sua famiglia e, però dimostra rispetto della legge quando arrivano i carabinieri per arrestarlo: “Finalmente, potrò parlare con la Giustizia. Ché c’è voluto per poterla incontrare e dirle il fatto mio!”
Alvaro spiegò chiaramente il suo atteggiamento al ritorno dalla Germania nel 1931. Il fatto che il regime allentò momentaneamente l’azione persecutoria nei suoi confronti fu una specie di tregua guardinga, di cui Alvaro non approfittò fino al 1938, quando con l’uscita presso Bompiani di L’uomo è forte non suscitò i sospetti giustificati del regime sulle vere intenzioni del romanzo, che, sebbene la trama di esso si svolgesse in Russia, era un atto di accusa contro tutti i totalitarismi, compreso il fascismo. Ciò, ben 11 anni prima dell’uscita di 1984 di George Orwell. Questo non è certamente un atteggiamento che denota rassegnazione. Nel 1945, Alvaro pubblica il pamphlet L’Italia rinuncia? scritto l’anno prima; è un libro di circa cento pagine di riflessioni sul futuro della nazione e sul pericolo di ritorno al passato. (Un appassionato pamphlet che denuncia l’eventualità di una restaurazione da parte delle forze reazionarie, ed il pericolo che gli italiani rimuovano la coscienza della tragedia vissuta abdichino ad un radicale rinnovamento della società – A. Morace.) Il libello contiene anche riflessioni profetiche sul futuro sviluppo della società italiana e sul pericolo che essa possa arrivare ad alti livelli di corruzione e malaffare scambiando la conquistata libertà per libertinaggio sociale. Con questo messaggio al popolo, Alvaro compie un gesto di vero amor patrio e di preoccupazione per il pericolo che intravede, conoscendo l’indole italiana ad aggrapparsi al più forte. Alvaro compie un atto che nessun altro scrittore abbia osato compiere. Certamente non si può dire che egli non abbia previsto molto di quello che successivamente è avvenuto. Non si può dire che Alvaro sia stato affetto da quella malattia che è stata denominata “cultura della rassegnazione” E non è stata azione da poco rifiutare di diventare Accademico d’Italia in cambio della tessera di partito.
Fortunato Nocera