L’ex Vescovo di Locri, Monsignor Bregantini, ha invitato Mimmo Lucano per un incontro con i suoi fedeli, preceduto sui social da non poche polemiche. IntraVedere, il periodico della Chiesa di Campobasso-Bojano, ha pubblicato per l’occasione un’intervista al Presule, che riproponiamo.
“Della mia esperienza come Vescovo di Locri-Gerace ho tanti ricordi positivi di accoglienza vera messa in pratica dalla gente di Calabria spesso spontaneamente, portando a chi approdava sulle loro coste, spesso infreddolita e inzuppata di acqua salata, coperte, viveri, thé caldo. Quando Francesco ha invitato tutti ad accogliere i migranti che provengono dai lager della Libia e da altri luoghi di sofferenza, come ha fatto domenica 24 ottobre all’Angelus, io rivedo tante immagini, tanti episodi di solidarietà dei calabresi”. Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, ora arcivescovo di Campobasso-Bojano, ricorda così il “modello Riace” che vide nascere sotto i suoi occhi come vescovo di Locri-Gerace. Tutto nacque nel luglio 1998 con un veliero carico di profughi curdi. “Ricordo quei naufraghi approdati sulla spiaggia, smarriti, sperduti. Parlando in tedesco (lingua con cui molti curdi hanno dimestichezza) cercavamo di capire perché erano saliti a bordo in condizioni così pericolose. La Calabria era solo un passaggio, la Germania l’approdo finale della loro odissea”.
Lei mise a disposizione la Casa del Pellegrino della diocesi.
“Questo fu il gesto che facemmo come diocesi, al di la dell’accoglienza immediata. Serviva una dimora stabile che poi maturò nel progetto Riace”.
Come definirebbe il modello Riace?
“Consisteva nel fare quello che poi Francesco ha scritto nell’enciclica “Fratelli tutti”. Al paragrafo 131 il Papa ripete in 4 verbi il senso della solidarietà ai migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Questo è il cuore del progetto Riace. Accogliere con il cuore ampio, proteggere significò capire dove i migranti volevano andare, promuovere e integrare avvenne quando il modello Riace cominciò a maturare e a comprendere che per il loro sviluppo ci voleva anche un lavoro. Furono create realtà artigianali, servizi, una tessitura, delle botteghe, dei laboratori. Questa realtà di imprese diventò una cittadina che rivitalizzò un borgo in via di estinzione dove non c’erano più culle. L’asilo riaprì. Un modello europeo”.
Perché europeo?
“Perché tutto questo va al di là di Riace e delle sue vicende legate a Lucano. Un modello di accoglienza in cui i migranti, i più sfortunati della terra che fuggono da dittature, fame, carestie, rinvigoriscono il Vecchio Continente e lo avviano a nuova vita, è il sogno di Papa Francesco. Se l’Europa non attua questo modello diverrà sempre più vecchia, stanca e povera…”.
Quando andò a testimoniare al processo che vedeva imputato Mimmo Lucano, lei si presentò davanti alla corte con una copia dell’Enciclica “Fratelli tutti”.
“Il paragrafo 130 della “Fratelli tutti” è un assoluto capolavoro, un piccolo manuale di fraternità, perché descrive le risposte indispensabili nei confronti di coloro che fuggono da gravi crisi umanitarie e delinea una ventina di azioni di vario tipo. Fa capire che non si tratta solo di questioni umanitarie, ma fondative della persona”.
Riace si lega a questo paragrafo?
“Nei suoi ideali certamente è così. Per questo ho portato la “Fratelli tutti” in tribunale a Locri. Non intendo entrare nel merito del processo, nel rispetto della magistratura. Oltretutto io sono rimasto vescovo a Locri fino alla fine del 2007 e in quell’epoca non vi erano le criticità e i problemi sollevati dai giudici su cui io non sono entrato. Io sono stato testimone di un tempo che era un tempo di profezia, di inizi di progetti e di sogni. E allora io dissi: “Guardate che Mimmo Lucano anticipò di 15 anni quello che Papa Francesco nella “Fratelli tutti” (e la mostrai) scrive nel 2020. Il progetto di Riace iniziò 15 anni prima di quello straordinario documento che racchiudeva l’essenza dell’accoglienza umana”.
Francesco Anfossi