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venerdì, Marzo 29, 2024
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Rinascita Scott non è il maxi processo di Palermo

Nel dicembre del 2018 mi son fatto prendere la mano ed ho definito sul Riformista l’operazione “Rinascita Scott” uno show. Oggi non userei lo stesso termine, ma i dubbi mi sono rimasti tutti e si sono accresciuti dopo la sentenza. Rinascita Scott, infatti, non ha nulla a che vedere con il maxi processo di Palermo. Diversa la genesi, diversi i fini e gli imputati. Diversa, e quanto, la procura.

In una Calabria in cui la ‘ndrangheta è forte e pervasiva come non mai, s’è celebrato uno strano processo che tutti sapevano non avrebbe avuto alcuna seria ricaduta sulla storia della ndrangheta e meno ancora sulla vita dei calabresi.

S’è fatto credere che, dopo il processo “Rinascita Scott “, in Calabria ognuno sarebbe stato più libero ed invece, nonostante cinque anni fa si sia fatta una retata che ha portato in carcere un mezzo migliaio di persone, stiamo già sperimentando sulla nostra pelle che nulla è cambiato nella vita della Regione.

Restano, intatti,i centri di potere mafioso, intatti e attivi le centrali di reclutamento degli aspiranti ndranghetisti, restano le mani della mafia (e non solo), sulla sanità, sui fondi europei, sulla fragile economia calabrese.

Resta la disperazione che spinge una minoranza di giovani ad avvicinarsi alla malasetta.

A Lamezia, non è stata processata alcuna cupola della ‘ndrangheta che in realtà non esiste, ma solo qualche feroce cosca di paese.

Rinascita Scott non ha nulla a che vedere con il maxi processo di Palermo.

Diversa la genesi, diversi i fini e gli imputati. Diversa, e quanto, la procura. Opposta la strategia.

Nell’aula bunker di Lamezia non sono sfilati uomini di spessore criminale come Reina, Liggio o Provenzano o i dei cugini Salvo

Rinascita Scott ha puntato esclusivamente sull’alto numero degli imputati, tra cui, molti soldati semplici e qualche mezzo graduato di paese.

Dietro il numero il nulla o quasi…

Hanno tentato di gonfiare per condizionare lo svolgimento del processo.

La sentenza di ieri è stato un colpo di maglio contro l’impianto accusatorio della Procura e non solo per il fatto che più di un terzo degli imputati sono stati assolti. È crollato l’ architrave portante dell’impianto accusatorio.

E da questo varco  aperto dai giudici è facile prevedere che saranno abbattuti ancora altri “pilastri” e l’intero edificio verrà giù..

Tutto ciò rende inspiegabile lo scomposto rumore di fondo che ha tende a creare “ammuinu” nascondere la realtà.

Restano tante vite spezzate dall’inutile carcere preventivo.

Resta il fatto che ogni innocente in carcere offusca l’immagine dello Stato. Soprattutto in Calabria.

Resta tanta sofferenza per le gratuite crudeltà nei confronti di imputati che, per motivi imperscrutabili a noi umani, sono stati prelevati di notte per essere trasportati nelle famigerate carceri, per esempio quello di Badu’ e Carros, come i criminali sanguinari e incalliti.

Una cosa è certa:

Per un vero e giusto processo non basta un’aula bunker nuova di zecca in una regione in cui per costruire un pronto soccorso di anni c’è ne vogliono trenta.

Non bastano i cartelli pubblicitari collocati all’aeroporto di Lamezia e sulle strade, non bastano le ripetute conferenze stampa con decine di giornalisti che pendono dalle labbra del procuratore; non bastano le frasi fatte e il facile (è per certi versi inquietante) accesso alle televisioni nazionali.

Non bastano iniziative di dubbia legittimità come le manifestazione di massa (si fa per dire) convocata a sostegno del dottor Gratteri il 18 gennaio del 2019 nel tentativo di dar forza alla maxi inchiesta che strisciava la coda sulla pista senza decollate.

Sotto le finestre della procura, in maniera trasversale, c’era tutto il mondo politico calabrese. Lo stesso che ha in mano la malandata sanità regionale e cogestisce il governo regionale con le centrali occulte che detengono tutto il potere in Calabria rendendo così la democrazia una barzelletta

Salvini sarebbe arrivato in procura il giorno dopo, con in evidenza un libro di Gratteri sotto il braccio.

Tutte queste cose messe insieme hanno fatto sì che i calabresi guardassero al processo con rassegnato scetticismo come fosse “cosa loro”… cioè di quei pochi che  gestiscono tutto il potere in Calabria.

C’è un fatto inoppugnabile a dimostrare la sfiducia dei calabresi: i posti riservati al pubblico nell’ aula bunker di Lamezia che sono rimasti sempre vuoti.

A Palermo i cittadini perbene facevano la fila sin dall’alba per assistere al processo, consapevoli della posta in gioco.

Qualcuno dirà che i calabresi sono omertosi quando non collusi o condizionati dalla ndrangheta.

La verità è che i calabresi sanno.

Sanno che domani gli ndranghetisti che contano saranno sempre” lì” dove sono sempre stati. Saranno “lì assieme a coloro che 18 gennaio applaudivano sotto gli uffici della procura per conservare il potere illegale e avere la possibilità di “montare e smontare la Calabria come un lego”

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