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Morti bianche, Luana e Christian avevano diritto ad un lavoro sicuro

Nel 2020, secondo i dati ufficiali, sono state 1.270 le morti sul lavoro, una media di 3 al giorno. Solo da inizio 2021 ci sono state 185 denunce per incidenti mortali sui luoghi di lavoro. A riaccendere i riflettori su queste tragedie sono stati il caso di Luana D’Orazio e Christian Martinelli, morti a pochi giorni di distanza. Ecco il commento che Beatrice Macrì ha scritto per Rivieraweb

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”: questo è il principio base del nostro ordinamento. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Inseriti tra i principi fondamentali della Costituzione, i suddetti art. 1 e 4 affermano il principio lavorista secondo cui il lavoro è sia un diritto, anzi il primo diritto sociale, riconosciuto all’individuo per l’affermazione della sua personalità e imprescindibile per affermare la propria autonomia e indipendenza, sia il diritto di pretendere che lo Stato si attivi per promuoverne l’esercizio.

I doveri dello Stato verso i lavoratori

È compito dello Stato garantire la massima occupazione in quanto il lavoro consente l’esercizio di tutti gli altri diritti di cui il cittadino è portatore.

La parte della Costituzione dedicata ai rapporti economici contiene norme che tutelano il lavoro, l’elevazione e la formazione professionale; definisce i criteri di determinazione della retribuzione, che deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato; rinvia alla legge per la determinazione della durata massima della giornata lavorativa; garantisce alla donna lavoratrice a parità di lavoro parità di retribuzione; riconosce il diritto alla previdenza e assistenza sociale che tutelino dai rischi che possono incidere sulla capacità lavorativa.

L’affermazione del diritto al lavoro non è supportata da alcuna azionabilità in ambito giudiziario perché non siamo in presenza di un diritto soggettivo perfetto. È facoltà di ogni legislatore promuovere l’attuazione e individuare le strategie per applicare il disposto costituzionale in sede di definizione del programma politico.

Ma l’art. 4 ci pone anche davanti al fatto che esiste un “dovere” di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale e spirituale della società. Per cui diritto verso lo Stato e dovere per il cittadino si conciliano attraverso la pretesa che il dovere possa essere adempiuto laddove lo Stato abbia predisposto le condizioni per l’esercizio del diritto.

Luana D’Orazio e Christian Martinelli dovevano essere protetti dai datori di lavoro

Dal punto di vista privatistico, il lavoro è un contratto che però a differenza degli altri rapporti contrattuali, contemplati dal codice civile, si caratterizza per il disequilibrio fra parti contraenti. Esiste infatti un datore che si avvale della prestazione di un lavoratore, il quale presta la propria attività “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Ne consegue che la tutela del prestatore nell’ordinamento è assicurata e assistita da norme imperative e pertanto inderogabili.

Ciò però non è sufficiente a evitare che fatti come le morti bianche siano all’ordine del giorno.

Mi riferisco alla morte di Luana D’Orazio, la cui giovane vita è stata stroncata nella fabbrica tessile presso la quale lavorava.

Luana è una delle tante vittime sul lavoro che si aggiunge all’elenco di questa Spoon River che sono le industrie italiane (come fa notare Marco Patucchi su La Repubblica).

Il valore delle vite

Una vita che si aggiunge ad altre, ad esempio a quella dell’operaio Christian Martinelli (finito dentro una fresa meccanica, ndr). Oggi, in epoca di covid, dovremmo esserci resi conto che una persona non è un semplice numero. Ogni vita ha un suo valore e un suo peso. Non è una somma di oggetti. È invece una numerosa moltitudine di mamme, figli, mogli, mariti cui vengono sottratte figure familiari, che hanno il diritto di piangere i propri lutti. Il dolore pone intere famiglie su un piano di parità, ma è un’eguaglianza di cui potremmo far volentieri a meno.

Non è ammissibile perdere la vita laddove si fa di tutto per costruirsela, una vita; per diventare grandi, che significa essere economicamente indipendenti; per formarsi una famiglia; per permettersi una vacanza; per non far mancare nulla ai propri figli. Il sacrificio di alzarsi ogni mattina per recarsi sul posto di lavoro non può trasformarsi nel sacrificio della propria esistenza. Purtroppo non esiste il rischio zero, questo ci dicono le statistiche, ma occorre per prevenirlo mettere in atto meccanismi il più possibile idonei a evitare le tragedie.

Le lotte sindacali, ma le conquiste sono solo negli Statuti?

È con la Rivoluzione industriale che nasce e assume rilevanza la salute come questione legata al lavoro. Ad esempio nel Regno Unito le leggi sulle fabbriche del 1802 nacquero dalla preoccupazione per la cattiva salute dei bambini che lavoravano nei cotonifici e nel 1833 veniva creato l’Ispettorato del lavoro con l’obiettivo di limitare le ore di lavoro e nel 1842 con il MINES ACT si introduceva il divieto di impiegare nelle miniere bambini minori degli anni 10.

Sul continente, intanto, Bismark introduce nel 1883 la prima legge sulla previdenza sociale e l’Italia seguitò promulgando la legge 80/1898 sull’assicurazione obbligatoria degli operai. Il nostro codice civile all’art.2087 rubricato “Tutela delle condizioni di lavoro” afferma: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori”.

Tra il 1955 e il 1956 furono adottati provvedimenti sulla sicurezza antinfortunistica e sull’igiene sul lavoro. E nel 1970 vede la luce la legge n° 300 meglio nota come Statuto dei lavoratori.

Lo Statuto all’art. 9 prevede: che i lavoratori mediante loro rappresentanze hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali nonché il diritto di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.

Per parlare di sicurezza e salute dei lavoratori da ultimo esiste un T.U. il Dlgs 81/2008. La salute sul lavoro serve a promuovere il più ampio livello di benessere fisico, mentale e sociale in tutte le professioni. Quindi per sicurezza si intende l’insieme delle misure preventive da adottare per rendere più sicuri e salubri i luoghi di lavoro riducendo l’esposizione ai rischi.

Nonostante sul piano formale le garanzie non manchino, il lavoro nero è una pratica molto diffusa attraverso la quale il datore per abbassare il costo del lavoro e trarre maggiori profitti si avvale della prestazione professionale e lavorativa di un lavoratore in assenza di un regolare contratto con la conseguenza che il dipendente rimane privo di qualsiasi copertura previdenziale e assicurativa. Per cui il datore risulta inadempiente all’obbligo di inviare comunicazione alle autorità competenti (INAIL, INPS). Ecco quindi che una grande fetta di lavoratori non ha diritti e tutele di alcun genere. Essendo il lavoro nero una lesione dei diritti fondamentali riconosciuti all’individuo dall’ordinamento, le sanzioni per il datore hanno in alcuni casi rilevanza penale.

Più che in altri campi, facendo eccezione per il settore fiscale, l’evasione delle norme poste a presidio di sicurezza e salute è piuttosto elevata, anche forse a causa dello squilibrio fra i due contraenti (prestatori, da un lato, datori dall’altro).

Quando si ridarà dignità al lavoro?

Le vite spezzate sono notevoli e queste comprendono anche tutte le vittime nell’ambito del lavoro sommerso; alle morti si aggiungono infortuni molto spesso occultati e non dichiarati che comportano anche gravi lesioni e talvolta la perdita della capacità lavorativa in maniera permanente. L’abbassamento dei costi di produzione si traduce nella carenza di misure a tutela dei lavoratori. Così gli operai si espongono quotidianamente a rischi dovuti alla carenza di manutenzione, a turni di lavoro massacranti, a lavori notturni che richiedono un più elevato grado di vigile attenzione. Assenza di controlli è assenza della politica, alla quale spetterebbe aumentare le risorse e gli strumenti finalizzati al controllo.

Non è più possibile tollerare questa barbarie, non possiamo permettere che altre vite vengano stroncate, dobbiamo pretendere un ruolo attivo dello Stato nel sanzionare le deroghe a quelle norme poste a tutela del contraente debole che è il prestatore.

Concludendo, il lavoro è dignità e morire sul lavoro significa cadere sul campo nel senso che ogni lavoratore è una recluta per il bene comune, non solo se esercita un pubblico impiego, ma ogni volta che con un impiego persegue quel bene fondamentale che è la solidarietà sociale.

Beatrice Macrì

 

 

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