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Giovanni Puccio, il comunista

A gennaio 2023 è scomparso Giovanni Puccio, storico dirigente del Pd che, in questo articolo viene ricordato dal giornalista Filippo Veltri.

C’erano alcune migliaia di persone in piazza in un pomeriggio caldissimo e assolato. Mi sono chiesto a mente fredda il perché di quella partecipazione così importante, sia per quantità che per qualità, per uno che non hai mai ricoperto cariche istituzionali importanti tranne quella di sindaco del suo paese.

Giovanni è stato ‘’solo’’ un funzionario di partito, una vita da mediano come ha cantato Ligabue ai suoi tempi per ricordare il grande calciatore Lele Oriali.

Giovanni è stato però un comunista italiano e la definizione di Alfredo D’Attorre dice tutto. “Educare alla politica significava verificare – ha scritto Michele Drosi in un libro su Giovanni Puccio – lo spessore di un partito pedagogico come il PCI, ma anche capire come una scuola di partito poteva diventare un microcosmo dove poter sperimentare la vita collettiva, l’identità di gruppo, le coordinate culturali, la tenuta del credo ideologico, i linguaggi comunicativi. Il cinquantennio di vita nelle scuole, e non solo di Frattocchie, segna il passaggio da un iniziale periodo in cui la formazione ha costituito uno strumento di organizzazione e acculturazione delle classi popolari, a partire da operai e contadini, a una fase propulsiva, ascrivibile agli anni Settanta, con il PCI che promuoveva i quadri in funzionari alla guida di amministrazioni locali. In questo tragitto, le scuole sono state sia lo specchio del cambiamento di un partito che cercava spesso non riuscendoci, di sintonizzarsi con le trasformazioni della società, sia l’avamposto di una politica che emancipava e faceva crescere”.

Ora, qual è il punto che forse spiega la grande commozione e la grande partecipazione a quel ricordo, al di là ed oltre dunque il dato emotivo? Da tempo, purtroppo, quel tipo di politica non c’è più e se ne avverte maledettamente la mancanza. “Oggi – scrive ancora Drosi – c’è un grande problema che si chiama selezione della classe dirigente. Chi ci mette mano prima, con qualche idea suggestiva, nella quale mettere insieme competenza e passione politica, probabilmente segnerà un significativo passo avanti e riuscirà a vincere qualcosa”. Il Partito Democratico è il primo indiziato: morto anche l’ultimo funzionario, cosa resterà? Giovanni Puccio ha rappresentato dal punto di vista politico un esempio di quella lunga serie di dirigenti del PCI, del PDS, dei DS e del PD che nella nostra regione e nel resto del Paese sono diventati funzionari di partito. È stato un funzionario di partito modello attraverso un impegno portato avanti con grande generosità fino al sacrificio personale, al punto di trascurare, talvolta, persino la tutela dei propri diritti, che la sinistra ha sempre rivendicato per tutti i lavoratori. Al partito tutto era dovuto e dal partito nulla si doveva pretendere. Giovanni Puccio ha sempre svolto questo lavoro, a volte in maniera del tutto volontaria e gratuita, con passione, intelligenza e totale dedizione, girando in lungo e in largo per tutta la regione, andando nei luoghi più importanti così come in quelli più dimenticati per ascoltare, per dipanare matasse. Antonio Floridia, docente di Istituzioni e processi politici all’Università di Firenze, nel suo libro “Un partito sbagliato. Democrazia e Organizzazione nel Partito Democratico” (Castelvecchi, 2019), scrive: “Nel PCI c’era un meccanismo infallibile di dialogo fra base e vertice; il classico e oggi deriso funzionario di partito veniva mandato a fare le riunioni di sezione, e se sapeva fare il suo mestiere riportava “al centro” gli umori della base. Al PD sono mancati “i sensori”, i terminali. Il radicamento territoriale non serve solo al volantinaggio ma a percepire i problemi. Democrazia non vuol dire votare solo alle primarie, ma avere luoghi reali di confronto e di decisione partecipata. Nel PCI i “famigerati” funzionari di partito erano anelli essenziali di un circuito democratico tra società, base e gruppi dirigenti”.

E tutto questo Gianni Cuperlo, nella prefazione al libro di Ciccio Riccio (da Locri a Bologna a Roma e ritorno), “Lo rifarei” (Strisciarossa, 2022), lo ha descritto e lo ha esaltato magistralmente: “La militanza presenta il conto e tutto diventa insieme bellissimo e tiranno. Nel senso che può carpirti la vita, affetti, famiglia, tempo, svago, ogni cosa. E allora vi chiederete: ma in cambio di cosa? Essenzialmente in cambio di due cose. La prima è un verbo: crederci. Infatti, tutto quell’ambaradan (viaggi, notti, febbri di 26 attesa per una percentuale al seggio, amicizie, conflitti, paure, sdegni, successi, gioie, abbandoni e quant’altro) te lo ripagava la coscienza che a farlo erano persone che credevano avesse un senso farlo. E quel senso ti riempiva l’animo; mica è poco credetemi. La seconda, a modo suo, discendeva e dipendeva dalla prima ed era la scoperta di un’umanità che solamente in quel contenitore di passioni riversava la propria grandezza. I “comunisti”, i militanti comunisti, gli operai comunisti, le donne comuniste, i giovani che rinnovavano quel sentirsi parte di un mondo pieno di contraddizioni eppure incredibilmente vitale, tutto quello ti restituiva un valore’.

Giovanni Puccio era uno di questi.

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