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Finanza di filiera: una nuova stagione del sistema del credito alle imprese

La questione del credito alle imprese in Calabria è spesso stata un terreno di scontro fra opzioni pregiudiziali e posizioni preconcette, ormai davvero datate e insostenibili. Imprese da un lato e banche dall’altro hanno sempre fatto fatica a riconoscersi come partner di un sistema di mercato preferendo, al contrario, una sorta di status tra controparti in perenne conflitto. La domanda è: perché in Calabria, e non solo, dovremmo e potremmo cambiare stagione nell’intricato universo del sistema del credito alle imprese?

Sebbene irrituale come format editoriale, mi piacerebbe avviare questa riflessione con una proposta di assunzione collettiva di responsabilità: la questione del credito alle imprese in Calabria, ammettiamolo, è spesso stata un terreno di scontro fra opzioni pregiudiziali e posizioni preconcette, ormai davvero datate e insostenibili.

Imprese da un lato e banche dall’altro hanno sempre fatto fatica a riconoscersi come partner di un sistema di mercato preferendo, al contrario, una sorta di status tra controparti in perenne conflitto.

Per anni il dibattito ha inseguito le responsabilità delle due parti. Si è parlato di banche burocratizzate con procedure decisionali di assegnazione del credito dettate dall’esterno, di insensibilità ai problemi territoriali, di tassi fuori mercato e di forte despecializzazione.

Dall’altro l’alto si è parlato di imprese prenditrici di denaro pubblico, di assoluta assenza di cultura sul capitale di rischio e, infine, di management aziendali troppo schiacciati sulla proprietà se non proprio assolutamente sovrapponibili alla proprietà del capitale di rischio.

La domanda è: perché in Calabria, e non solo, dovremmo e potremmo cambiare stagione nell’intricato universo del sistema del credito alle imprese?

Sono due le nuove grandi condizioni di scenario che spingono verso un irreversibile mutamento del clima nel sistema del credito alle imprese: la deglobalizzazione e la transizione digitale.

La deglobalizzazione nasce come scelta strategica dettata dalla pandemia, dalle difficoltà nella catena degli approvvigionamenti e da, ultimo, dalla crisi energetica indotta dal conflitto russo-ucraino. In buona sintesi, siamo dinanzi ad uno scenario che rimette la questione delle filiere nazionali al centro dell’attenzione della politica industriale del nostro Paese. Anche nelle Regioni, e quindi anche in Calabria, si pone il problema della riattivazione di filiere locali sinora assolutamente ignorate o abbandonate.

Quasi tutti i settori produttivi della Calabria hanno sperimentato, sulla propria pelle e bilanci, fermi e rallentamenti di produzione e quindi di fatturato (basti pensare al 110 in edilizia) causati da imbuti operativi negli approvvigionamenti e nella logistica. Nelle più recenti riflessioni di molte delle associazioni di categoria produttive regionali, si avverte questa sottile e diffusa esigenza di immaginare filiere produttive sempre più corte e sempre più, possibilmente, nazionali se non addirittura locali.

Non credo esista una tentazione autarchica, ma avverto una crescente e diffusa sensibilità protezionistica, comprensibile sia chiaro, da parte delle imprese locali mirata alla conservazione dei patrimoni di competenze aziendali e di specializzazione produttiva che rischiano di soccombere dinanzi alla crisi inflattiva, energetica, logistica e di approvvigionamenti.

Ecco, quindi, la nuova sfida del sistema del credito alle imprese in Calabria: banche e imprese devono sviluppare nuovi linguaggi di interazione che la deglobalizzazione in tempi brucianti imporrà ai due soggetti protagonisti.

Così come le imprese, rapidamente, ricostruiranno le loro catene di approvvigionamento puntando verso fornitori nazionali e locali (quale esito della incipiente deglobalizzazione) sperimentandone costi, affidabilità e qualità dei servizi pre e post-vendita, così anche le banche devono compiere un salto di qualità e un coraggioso cambio di direzione strategica.

Ad una nuova supply-chain delle imprese deve corrispondere una sensibilità delle banche verso le nuove filiere in corso di formazione.

Mi piace immaginare questo nuovo corso delle relazioni nel sistema del credito alle imprese come la stagione della finanza di filiera.

In linea con tale idea, sarebbe opportuno, ad esempio, inserire all’interno della metodologia dell’indagine regionale sul credito bancario (Regional Bank Lending Survey, RBLS), adottata dalle filiali di Bankitalia,  una sezione specifica di monitoraggio delle aspettative di ascolto delle imprese in materia di specializzazione bancaria sulle specifiche filiere produttive.

Pensiamo solo alla filiera dell’offerta culturale della Locride: immaginare una stagione di collaborazione su progetti di marketing territoriale che vedano insieme imprese, banche, associazioni, enti locali e i nuovi protagonisti digitali dell’offerta turistica è finalmente possibile.

Una finanza di filiera capace di interpretare e valorizzare il territorio nella sua interezza.

Che non significhi localismo, per carità. Deve significare capacità di progetto, definizione dei ruoli, strategia territoriale, innovazione di prodotto, specializzazione del mercato del lavoro locale e orientamento ai mercati nazionali ed internazionali.

Tutto questo perché, accanto alla deglobalizzazione si assiste all’altro grande mutamento di scenario noto come transizione digitale. Anche questa dinamica è destinata ad alterare profondamente la natura delle relazioni partenariali all’interno del sistema di credito alle imprese in Calabria.

Alessandra Perrazzelli, vicedirettrice generale di Bankitalia, in un suo recente intervento sulla banca del futuro (Forun ABI Lab di Marzo 2022), ha espressamente sottolineato che “la digitalizzazione è uno dei pilastri su cui poggiano i nuovi piani strategici elaborati dalle principali banche italiane” e soprattutto che “attraverso soluzioni basate su tecnologie cloud, BigData, Machine Learning e Artificial Intelligence, si stanno sviluppando progetti di consulenza agli investimenti.”

Attenzione a questo passaggio della consulenza agli investimenti: grazie alle nuove tecnologie le banche stanno per inaugurare, finalmente, la stagione della partnertship con la clientela, derubricando, si spera il più velocemente possibile, nella scala delle proprie priorità operative, il ruolo di mero verificatore della congruenza tra rischio solvibilità, garanzie e stato patrimoniale senza alcuna attenzione, seria, alla qualità dell’idea imprenditoriale.

Quello che la finanza di filiera può quindi consentire è una sorta di condivisione delle dinamiche di sviluppo territoriale consentendo a ciascun soggetto della filiera di disegnare compiutamente obiettivi, tempi, strumenti e scenari della propria catena di valore.

Esiste una possibile agenda politica da condividere territorialmente per verificare potenzialità e limiti della finanza di filiera?  Io credo di si.

Si tratterebbe di immaginare una nuova geopolitica territoriale, di parlare di strategia d’area, di puntare sulle vocazioni reali del territorio e di costruire filiere il più possibili autonome e corte per contrastare le dipendenze dall’esterno.

Non mancano gli strumenti: da quelli istituzionali, come le Fondazioni di Partecipazione che stanno riscuotendo un grande successo in molti distretti produttivi, a quelli più strettamente operativi (l’invoice trading, il dynamic discounting, il reverse factoring, il confirming e tanti altri) la sfida è non solo aperta ma oggettivamente stimolante.

Può la Locride diventare l’esperienza pilota per fare da apri pista ad un nuovo modello di sviluppo territoriale poggiato sul protagonismo delle proprie filiere produttive e della relativa finanza?

La Regione Calabria ha il coraggio di fare della Locride un distretto di sperimentazione di un nuovo modello di sviluppo territoriale?

E, infine, la domanda più importante: quale e quanta Locride è disposta a rimettersi in discussione?

Parliamone.

Geppino De Rose

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