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giovedì, Aprile 25, 2024
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Ciao Antonio, caro compagno

Non sapevo della sua “Malattia” sino a quando una mattina mi vennero a chiamare, perché Antonio da alcuni giorni rifiutava il cibo e minacciava di farlo all’infinito se non fossi andato a trovarlo. Lo trovai disteso sul letto con gli occhi chiusi, ma il rumore della porta che si chiudeva alle nostre spalle lo spinse a voltarsi  verso di me. Fu un attimo. Balzò dal letto e alzò il pugno chiuso, scandendo “Lotta dura senza paura”. Lo gridò più volte e con quanto fiato aveva in petto.

 Antonio se n’è andato in silenzio, quasi con discrezione ma non era un uomo senza storia. Mi riferisco alle tante piccole storie  ambientate nel secolo scorso. Storie d’altri tempi, quasi antiche. Antonio è stato un gran lavoratore, una persona seria e, se avessi ancora voglia di utilizzare il linguaggio allora in uso dovrei aggiungere un “caro compagno” che si entusiasmava nei comizi e partecipava alle manifestazioni. La storia inizia appunto in una di queste. Credo fosse un giorno di primavera e erano presenti  gli operai forestali e i contadini che chiedevano una centrale per il commercio degli agrumi. C’erano gli studenti. Occupammo simbolicamente la statale 106 lasciando un ampio corridoio per le urgenze. Un giovane capitano fresco di accademia non gradì molto la nostra strategia e decise di rompere nel giro di pochi minuti la tacita  “intesa” che ci aveva quasi sempre consentito di manifestare senza incidenti.

Credo che il capitano avesse voglia di dimostrare ai suoi uomini la nostra inconsistenza e il suo coraggio. Si fece largo tra i manifestanti con passo  marziale e intorno si creò un gran silenzio. Il capitano mi fissò negli occhi e scandì le parole :dieci minuti di tempo per rimuovere il blocco. Di-e-ci mi-nu-ti e non uno in più”.

Il momento era delicato e ogni ‘esitazione sarebbe stata fatale.

“Lotta dura, senza paura” fu la nostra risposta. Antonio era accanto a me e, mentre scandiva “Lotta dura senza paura”, guardava dritto negli occhi il capitano.

Non una sfida ma una prova di dignità, di onore e di coraggio. Di autodisciplina di maturità. Eppure, era un padre di famiglia che viveva del suo lavoro. Non era estremista e meno ancora in cerca di avventure. In quel momento, il messaggio che la Costituzione affida ai cittadini invitandoli ad essere custodi attivi della “Carta”  prese forma in Antonio e nella gente come lui. Il grido fu ripetuto da centinaia di persone. Il “Blocco” fu tolto un’ora dopo… come stabilito. Ma aggiungemmo i dieci minuti richiesti dal capitano.

Il tempo passò con una rapidità travolgente e Antonio si ammalò. La chiamano “Malattia”, ma credo che molto spesso si tratta d’un momento delicato della nostra vita quando le speranze cedono il posto alla consapevolezza della inevitabile sconfitta. Non sapevo della sua “Malattia” sino a quando una mattina mi vennero a chiamare, perché Antonio da alcuni giorni rifiutava il cibo e minacciava di farlo all’infinito se non fossi andato a trovarlo.

Lo trovai disteso sul letto con gli occhi chiusi.

Il rumore della porta che si chiudeva alle nostre spalle lo spinse a voltarsi verso di me.

Fu un attimo. Balzò dal letto e alzò il pugno chiuso, scandendo “Lotta dura senza paura”. Lo gridò più volte e con quanto fiato aveva in petto. Era passato tanto tempo e nessuno avrebbe potuto decifrare il messaggio in codice che Lui mi mandava.

La vita ci cambia, ci piega e alla fine ci costringe alla resa ma, nel bene e nel male, nessuno potrà mai cancellare ciò che siamo stati. E Lui in quel momento lontano non era stato solo un lavoratore e un buon padre di famiglia ma un umile costruttore di mondi che avrebbe voluto migliori. Un custode di speranze e ideali, una dimostrazione che sono gli uomini più semplici a fare la migliore Storia. Sempre che i “grandi uomini” non decidano che il mondo sia “Cosa loro”… proprio come nel momento storico che stiamo vivendo.

 

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